Opinioni

L'affiliazione dei boss. 'Ndrine, male arcaico e moderno

Vincenzo R. Spagnolo mercoledì 19 novembre 2014
«Buon vespero...». Il saluto del boss accoglie i candidati all’affiliazione che «nel nome di Garibaldi, Mazzini e La Marmora» sono pronti a giurare per diventare «saggi fratelli». Nonostante i racconti di diversi pentiti, fa impressione assistere per la prima volta, nel video registrato in Brianza dai carabinieri del Ros, al rito su cui fonda il proprio vincolo di sangue una delle consorterie criminali più antiche e pericolose del Pianeta. È trascorso più di un secolo da quando i Regi Carabinieri scovarono in Calabria i primi codici di una forma di malavita organizzata nota come «picciotteria». E ci volle un articolo di Corrado Alvaro, nel 1955, per assegnarle quel nome aspro e arduo da pronunciare, col quale è schedata negli archivi giudiziari di tutto il mondo. Un secolo che la ’ndrangheta, con le sue ’ndrine, non ha speso invano passando, attraverso faide sanguinarie, dall’abigeato ai sequestri di persona, fino ad approdare al narcotraffico, che l’ha resa una multinazionale 'glocal', con un esercito di affiliati (5mila solo in Calabria) e basi dall’Aspromonte alle Ande, passando per il paesino lombardo di Calolziocorte: 13mila abitanti appena e il germe della malavita seriamente inoculato dentro. Pizzo e cocaina, omertà e partecipazioni in Borsa, WhatsApp e oscuri rituali: «Hanno l’affiliazione nel Dna», osserva il procuratore aggiunto Ilda Boccassini. È la subdola, arcaica modernità di una mafia sempre diversa ma uguale a se stessa, che continua a proporsi come anti Stato, affascinando coi miraggi del denaro e del potere nuove leve: la minore età di uno dei presenti alla cerimonia brianzola fa ricordare i 18 anni di uno dei sei calabresi uccisi a Duisburg nel 2007, che aveva in tasca un santino bruciacchiato durante l’affiliazione.  L’inchiesta «Insubria» conferma come lo Stato, dopo decenni di sottovalutazione soprattutto al Centro Nord, sia intenzionato ad affrontare l’insidia con l’unica arma di cui dispone: indagini, processi e condanne. Ma non può bastare: in un momento in cui anche in Sicilia cresce la minaccia di Cosa Nostra nei confronti dei pm di Palermo, occorre la vigilanza di tutta la società civile, dell’imprenditoria e della politica, locale e nazionale, che debbono respingere ogni approccio. La mafia, ha detto Papa Francesco, «è adorazione del male e disprezzo del bene comune», è un «male che va combattuto, va allontanato». Scoprirlo di più aiuta a farlo.