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India. "Liberate padre Stan": l'appello dei gesuiti per il confratello 83enne in cella

Lucia Capuzzi sabato 23 gennaio 2021

"Padre Stan ha dedicato l'intera esistenza ai più poveri fra i poveri: gli indigeni Adivasi e i dalit. E' la voce di chi non ha voce. Ha affrontato i potenti e ha detto loro la verità". E' un messaggio sentito di solidarietà quello pronunciato da Arturo Sosa, padre generale della Compagnia di Gesù, per il confratello Stan Swamy, 83 anni, in carcere dall'8 ottobre scorso nonostante l'età e la grave forma di Parkinson di cui soffre. Con lui, nella prigione Taloja di Mumbai, altri 15 intellettuali. Tutti accusati di terrorismo in base alla draconiana "Unlawful activities prevention act", approvato dal governo nazionalista di Narendra Modi quasi due anni fa. E tutti impegnati nella difesa dei diritti umani delle minoranze. Come padre Stan, che denunciava gli abusi dei grandi proprietari terrieri contro gli Adivasi del Jhakarland indiano.

Dalla Conferenza episcopale nazionale ai gesuiti, dall'Onu alle organizzazioni umanitarie, in tanti in tutto il mondo hanno chiesto giustizia per il sacerdote. il 15 gennaio, quando si sono compiuti i cento giorni di incarcerazione, c'è stato un momento di preghiera globale insieme a padre Sosa.

Anche martedì, però, il premier Modi, nell'incontro con i vescovi indiani, ha ribadito l'intenzione di non intervenire nella vicenda, di competenza della Special national investigation agency, gli 007 anti-terrorismo. Si attende, intanto, la decisione del giudice di fronte alla richiesta di concedere la libertà su cauzione all'anziano gesuita, presentata dalla difesa il 12 gennaio. Istanza finora sempre rifiutata.