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Venezuela. Maduro si fabbrica la terza vittoria

Costanza Oliva giovedì 4 aprile 2024

Il presidente Maduro in un evento a Caracas

«Sei aprile protesta mondiale contro il blocco elettorale in Venezuela». È l’appello lanciato dalla leader dell’opposizione María Corina Machado, esclusa alla candidatura per le prossime consultazioni presidenziali in programma il 28 luglio. Con un videomessaggio pubblicato su X, Machado ha anche esortato i suoi concittadini all'estero a recarsi nei consolati, registrarsi nelle liste elettorali e denunciare eventuali anomalie o difficoltà. Dagli Stati Uniti all’Europa rimbalzano i richiami perché il presidente Nicolás Maduro garantisca libere elezioni. «Non ci sono molte speranze ma c’è ancora tempo», ha affermato il sottosegretario di stato Usa per l’emisfero occidentale Brian A. Nichols. Il tempo c’è, quattro mesi, ma il risultato sembra essere già scritto: un terzo mandato per il presidente uscente Nicolás Maduro.

O almeno sembrano suggerirlo i continui attacchi alle organizzazioni della società civile e agli attori politici dell'opposizione democratica, bersaglio di interdizione arbitraria dall'esercizio di cariche pubbliche. Proprio come nel caso di Machado e della sua “sostituta” Corina Yoris. L’opposizione politica nei confronti di Machado, già nota per le sue battaglie politiche ai tempi di Hugo Chávez, era iniziata nel 2014 quando fu destituita dall’Assemblea nazionale con l’accusa di tradimento alla patria, e l’anno successivo era stata interdetta dai pubblici uffici per un anno (poi trasformati in 15) con l’accusa di non aver incluso nella sua dichiarazione patrimoniale alcuni bonus ricevuti quando era deputata all'Assemblea nazionale.

Con i cosiddetti “Accordi di Barbados” si era sperato che le cose potessero cambiare e che segnassero un punto di svolta verso il ritorno della democrazia nel Paese. Lo scorso 17 ottobre il regime di Maduro e le opposizioni venezuelane avevano trovato un’intesa che prevedeva garanzie elettorali e il rilascio dei prigionieri politici. Pochi giorni dopo Machado aveva ottenuto un’ampia maggioranza, più del 90%, alle primarie indette per individuare il candidato presidenziale di opposizione a Maduro. Ma la Corte suprema di giustizia ha confermato l’incandidabilità della leader. Decisione definita dal Parlamento Europeo «priva di base giuridica»: Machado non ha mai ricevuto copia delle presunte accuse e di conseguenza non ha mai potuto risponderne. Inoltre, la Costituzione venezuelana sancisce che i diritti politici delle persone e l’esercizio di cariche pubbliche non possono essere limitati da decisioni amministrative.

Si era scelto di sostituirla con l’accademica e filosofa Corina Yoris Villasana, ma neanche la sua iscrizione è stata possibile a causa di difficoltà di accesso al sistema elettronico del Consiglio nazionale elettorale. Grazie a una proroga di alcune ore, rispetto alla scadenza fissata il 25 marzo, la Piattaforma Unitaria Democratica (Pud), che riunisce i principali partiti di opposizione, è riuscita a iscrivere un candidato provvisorio, Edmundo González Urrutia, nella speranza di riuscire a sostituirlo in seguito.


Una storia che si ripete. Già le elezioni del 2018 erano state considerate illegittime dall’Onu per la mancanza delle «condizioni minime per considerarle libere e credibili». Il leader dell’opposizione Juan Guaidó era stato riconosciuto come presidente legittimo da buona parte della comunità internazionale e, per spingere il presidente Maduro a organizzare elezioni libere, gli Stati Uniti di Trump avevano imposto a Caracas sanzioni sul petrolio. Relazioni poi ricucite con la scelta di Biden di alleggerire le restrizioni per ridurre le spinte al rialzo sul prezzo del greggio e, allo stesso tempo, l’instabilità in Venezuela, limitando la pressione migratoria verso gli Stati Uniti. E per il momento, ha fatto sapere la portavoce della Casa Bianca Karine Jean-Pierre, non c’è alcuna intenzione di cambiare rotta