Mondo

IL «GRANDE FRATELLO». Usa, spiate anche e-mail e carte di credito

Elena Molinari sabato 8 giugno 2013
Non solo le utenze telefoniche: anche le e-mail e le carte di credito degli americani (e non) sono sotto la sorveglianza della Casa Bianca. Gli occhi e le orecchie del governo Usa si rivelano sempre più grandi, intenti a raccogliere dati in massa sulle comunicazioni e le transazioni economiche effettuate da cittadini americani come stranieri. La portata dei programmi di sorveglianza inaugurati da George W. Bush e mantenuti e ampliati da Barack Obama supera infatti i confini americani per andare a intercettare tutto quello che passa sui server Usa di Google, Facebook e Apple ma provenienti da altri Paesi. Mentre le banche e le società emittenti garantiscono alla National Security Agency americana accesso anche ai dati sulle transazioni delle carte di credito.I due nuovi capitoli dello scandalo intercettazioni americano, già soprannominato “datagate”, hanno messo ulteriormente alle strette il presidente Usa. Le accuse di abuso di potere mosse da associazioni per i diritti civili, media statunitensi (New York Times in testa) e da alcuni membri del Congresso hanno infatti spinto Obama a rompere il silenzio. Il capo della Casa Bianca lo ha fatto rispondendo a solo due domande dei giornalisti dalla California, dove nella nottata italiana avrebbe incontrato il presidente cinese, un summit ormai offuscato dalla valanga di notizie sulla sorveglianza elettronica. «Nessuno ascolta le vostre telefonate», ha assicurato il capo della Casa Bianca in una dichiarazione di 14 minuti in tutto. Quindi ha negato che i programmi di monitoraggio siano segreti, perché sono stati più volte autorizzati dal Congresso, che ne è tenuto al corrente, e da diversi giudici federali. Inoltre, ha spiegato, i dati raccolti non vengono usati a scopi diversi dalla lotta al terrorismo. Obama è sembrato quasi spazientito nel sottolineare la legalità e, soprattutto, l’utilità dei controlli effettuati regolarmente da almeno sei anni dal suo governo: «Sapete – ha sbottato – come società dobbiamo decidere cosa vogliamo. Non possiamo avere il 100 per cento della sicurezza e il 100 per cento della privacy». Il tentativo è di arginare il danno causato dalla fuga di notizie presentando le intercettazioni quasi come scontate in tempi di minacce terroristiche non facili da prevedere. Ma resta il fatto che gli americani non avessero idea di essere spiati a sollevare la più insidiosa delle domande: quanto l’esecutivo Usa ha esteso il mandato affidatogli dai suoi cittadini di proteggerli ed evitare un’altra tragedia come quella del World Trade Center? Per ora la Casa Bianca o il dipartimento alla Giustizia Usa hanno ammesso l’esistenza di due programmi. Quello che raccoglie l’elenco quotidiano delle telefonate che passano per le linee della Verizon, una delle maggiori compagnie telefoniche Usa, e “Prism”, nato dalle ceneri delle operazioni di sorveglianza elettronica di George W. Bush. Quest’ultimo, svelato dal Washington Post, sarebbe entrato nei server di nove giganti di Internet per estrarne audio, video, fotografie, e-mail, documenti, password e username e tracciare nel tempo l’attività sulla rete, concentrandosi sul traffico straniero. E sarebbe proprio “Prism” la fonte principale delle informazioni che le agenzie di intelligence forniscono al presidente nel loro rapporto quotidiano. Tra le aziende che hanno fornito accesso al sistema ci sarebbero Microsoft, Yahoo, Google, Facebook, PalTalk, Aol, Skype, Youtube e Apple, che per ora hanno però rifiutato di commentare o smentito la notizia. Secondo il quotidiano Guardian, anche i servizi britannici del Gchq avrebbero avuto accesso ai dati di “Prism”.C’è da chiedersi poi chi, all’interno dell’Amministrazione Usa, stia alimentando le indiscrezioni di stampa, aggiungendo quotidianamente rivelazioni che fanno allargare a macchia d’olio lo scandalo. «La fuga non autorizzata di informazioni su questi programmi del tutto legali mette a rischio importanti sistemi di protezione per tutti gli americani – ha scritto in un comunicato James R. Clapper, direttore della national intelligence americana – e minaccia in modo potenzialmente irreversibile la nostra abilità di rispondere ai pericoli che la nostra nazione deve affrontare».