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Reportage. Usa, i ragazzi in rivolta «I nostri compagni non li deporterete»

Elena Molinari - Inviata a Oakland (California) domenica 17 giugno 2018

Un ragazzo faceva dei gesti a un compagno di classe nel corridoio della scuola. Un altro indossava una maglietta con il simbolo di due corna. Un terzo disegnava dei graffiti su un quaderno. Una ragazza, infine, fumava marijuana. Un preside di un liceo di Brentwood, a Long Island ha accusato i quattro adolescenti – tutti immigrati da El Salvador, senza documenti – di usare simboli e gesti associati a una gang di strada.

Li ha sospesi e ha comunicato il provvedimento alla polizia. Prima ancora che le famiglie potessero parlare con le autorità scolastiche, i ragazzi sono stati arrestati e spediti in strutture di detenzione a migliaia di chilometri da casa, all’insaputa dei loro genitori. Non perché fossero membri di una gang – che non è mai stato dimostrato – ma a causa del loro «status migratorio». Sono storie come queste, che affiorano con sempre più frequenza nell’America di Donald Trump, ad aver spinto Cristal Tinajero, Fernando Ramirez, Dani Moore e decine di altri adolescenti americani alla «resistenza ».

Vale a dire, a impegnarsi per proteggere il milione di minori che risiedono illegalmente negli Stati Uniti e i 5 milioni e mezzo che hanno almeno un genitore senza documenti. E che vivono nella paura. Trump, dal suo insediamento nel gennaio 2017, ha chiarito che tutti gli immigrati irregolari sono soggetti a deportazione, senza distinzioni fra criminali e incensurati, singoli o famiglie, adulti o bambini. Ha schierato la Guarda nazionale al confine con il Messico, dove vorrebbe costruire un muro. Ha ordinato che i figli vengano separati dai genitori nel momento in cui varcano la frontiera senza un visto (oltre 11mila bambini affollano già centri d’accoglienza con sbarre e due ore d’aria al giorno, più simili a prigioni che a rifugi). Misure – non smette di giustificarsi – adottate per colpa delle leggi «sbagliate» approvate dai democratici. Secondo il dipartimento della Sicurezza Interna, solo tra il 19 aprile – quando è entrata in vigore la cosiddetta «tolletanza zero» e lo scorso 31 maggio –, in ogni caso, sono 1.995 i piccoli separati dai genitori.

E Trump ha già fatto anche capire che neanche le scuole sono luoghi sicuri per chi non è in regola. «Quando ho saputo della storia di Long Island, ho capito che dovevo fare qualcosa – spiega Cristal, di Milwaukee, in Wisconsin –. Quella ragazza potrebbe essere uno dei miei amici. Siamo arrivati al al punto in cui nessuno è più al sicuro». La 18enne allora ha inviato al suo distretto scolastico una petizione, firmata da decine di suoi compagni, che chiedeva di trasformare le scuole pubbliche in «zone santuario», dove gli immigrati non possono essere prelevati dalle forze dell’ordine. Cristal non rischia la deportazione.

È nata in Wisconsin, ma quando aveva 7 anni si è trasferita in Messico con i suoi genitori perché sua nonna era malata. Un anno dopo, quando la famiglia ha deciso di tornare a Milwaukee, sua mamma e papà sono stati fermati al confine. Una separazione durata due anni e il cui trauma, spiega, l’ha spinta all’azione. Il distretto scolastico di Milwaukee è diventato un «santuario » ad aprile. Un gruppo di studenti ha vinto una vittoria simile a Portland, in Oregon, dove una da qualche mese il personale scolastico non può rivelare lo stato dell’immigrazione o altre informazioni personali sugli studenti al governo.

E a El Paso il gruppo di giovani e giovanissimi riuniti nel gruppo Soñando Juntos ha chiesto all’Università del Texas di designarsi come santuario, espellendo definitivamente gli agenti di frontiera che pattugliano regolarmente il campus. «Quando abbiamo iniziato a fare manifestazioni sembrava che a El Paso non ci fosse nulla per i giovani immigrati. Siamo partiti da zero», ci dice Fernando Ramirez, messicano senza permesso, che è passato all’attivismo poco dopo l’elezione di Trump. «Il più grande ostacolo è stato trovare altri giovani privi di documenti che volessero esporsi – continua il ventenne –. Perché questo nuovo clima è terrificante. Gli immigrati hanno paura di andare a scuola, perché una trasgressione minore può tradursi in separazione, detenzione e deportazione».

Il gruppo fa parte dell’organizzazione United We Dream che conta circa 400.000 membri, la maggior parte della Generazione Z (sotto i 23 anni), in tutti gli Usa. Da circa 20 anni un numero crescente di agenti di polizia è schierato nelle scuole americane per mantenere la sicurezza. Al momento sono circa 20mila e tradizionalmente non hanno alcun legame con le autorità migratorie. Ma a gennaio Trump ha ordinato che questi poliziotti vengano formati nell’applicazione delle leggi sull’immigrazione, godano di autorità federale e del diritto di accedere ai dati personali degli studenti, che dovrebbe essere protetti dalle leggi sulla privacy.

Dani Moore, una 17enne attivista in North Carolina, è turbata dal duplice ruolo dell’ufficio dello sceriffo della sua contea, Wake, che collabora con le autorità dell’immigrazione. «Si sta creando la mentalità in base alle quale tutte le forze dell’ordine per le strade, al di fuori delle scuole e persino nelle scuole sentono il diritto e il dovere di verificare lo status migratorio di chi ha l’aspetto di un immigrato», spiega Moore, che con un gruppo di compagni ha organizzato numerose manifestazioni nella sua contea. Anche a Oakland, in California, i giovanissimi si sono rimboccati le maniche, e non invano.

Oggi, se un agente tentasse di arrestare un immigrato in una scuola della città, scatterebbe subito un piano d’emergenza. Le porte della scuola sarebbero chiuse e il preside avviserebbe tutti della presenza di un agente. Contatterebbe quindi un avvocato, incaricato di contestare qualsiasi mandato l’agente possa avere. È una vittoria della California Immigrant Youth Justice Alliance (Ciyja), rete di 13 associazioni di giovanissimi che difendono i diritti delle città santuario. Lo stesso movimento ha portato all’inserimento, nella legge che lo scorso ottobre ha trasformato la California in uno Stato santuario, di una misura che proibisce alla polizia scolastica di usare informazioni degli studenti per scoprire se hanno un permesso di soggiorno.

Nel frattempo, però, almeno venti adolescenti senza documenti sono stati sospesi in vari Stati per infrazioni minori, arrestati e detenuti in attesa di deportazione. Gli attivisti hanno fatto causa al governo federale per violazione dei diritti costituzionali. E non solo. «Per ogni studente deportato un gruppo si anima ed entra in azione – dice Cristal Tinajero – e non si ferma finché non nasce una nuova zona santuario».