Mondo

I casi di Ghana, Senegal e Tanzania. L'Africa che cresce con democrazia e stabilità

Paolo. M. Alfieri venerdì 29 agosto 2014
Tra una Nigeria in preda al terrorismo e una Repubblica centrafricana spaccata in due, tra una Sierra Leone devastata da Ebola e un’Eritrea che vede nella fuga l’ultima risorsa contro un regime autoritario, ci sono altre Afriche che si fanno largo a livello continentale e non solo, Paesi cui guardare con speranza e da prendere a modello di uno sviluppo possibile e condiviso. Ghana, Senegal e Tanzania rappresentano, con le dovute differenze, esempi di crescita che vanno oltre il dato puramente economico e che abbracciano, invece, anche questioni come la buona governance, l’alternanza politica al potere, lo sfruttamento intelligente delle risorse interne, l’intensificarsi dei rapporti sia a livello regionale che extra-africano. «Ghana, Senegal e Tanzania sono tra i Paesi più democratici dell’Africa sub-sahariana, Paesi in cui l’alternanza di governo costituisce la cartina di tornasole di sistemi stabili. In Tanzania il cambiamento si è verificato all’interno di uno stesso partito, negli altri due casi invece abbiamo assistito anche ad alternanze partitiche», fa notare il professore Giovanni Carbone, docente di Politica, istituzioni e sviluppo all’Università di Milano e autore per il Mulino di L’Africa. Gli stati, la politica, i conflitti. Sono Paesi come questi che riescono sempre più ad attrarre gli investimenti stranieri utili a favorire investimenti cruciali su fronti come le infrastrutture di base, l’agricoltura, le comunicazioni. A livello continentale il boom di investimenti stranieri è evidente: si è passati dai 15 miliardi di dollari del 2002 fino agli 80 miliardi attesi per il 2014. Ma anche quelli intra-africani vanno forte. E il Ghana è tra i Paesi che tirano di più. «Facilitati da un contesto politico e operativo stabile, gli operatori stranieri puntano a cogliere le opportunità di un sistema produttivo e industriale diversificato, che dalla fine del 2011 beneficia anche dell’attività di produzione ed esportazione di idrocarburi», fa notare Frontiers, la guida ai nuovi mercati emergenti diffusa recentemente dal gruppo assicurativo-finanziario Sace. Il Ghana è stato precursore dell’attuale fase politica del continente, oltre ad essere il primo Paese ad avere ottenuto l’indipendenza nel 1957 e ad aver attuato importanti riforme economiche negli anni Ottanta – aggiunge Carbone –. Qui l’alternanza pacifica, democratica al potere si è andata consolidando come punto cardine per lo sviluppo Paese. Non è un caso se Barack Obama nel 2009 scelse proprio Accra per la sua prima visita da presidente in Africa». La buona governance, fece notare Obama in Ghana, «è l’ingrediente che è mancato in troppi Paesi, per troppo tempo. Questo è il cambiamento che può aprire le porte al potenziale dell’Africa». Il rispetto della legge, l’impegno a non violentare i principi democratici in nome del potere a tutti i costi come elemento indispensabile per raggiungere la prosperità. Su queste basi il Ghana è riuscito a raggiungere lo status di economia a medio reddito, con l’abbattimento dei livelli di povertà e il consolidamento della classe media. Nel 2013 la borsa ghanese è risultata tra le "best performer" al mondo, ma il dato più interessante è forse un altro: ben il 97 per cento dei ghanesi (fonte McKinsey) si aspetta nei prossimi due anni miglioramenti nelle proprie condizioni di vita. «La prossima scommessa da vincere per Paesi come questi è la diversificazione delle risorse, in modo da evitare di dipendere dall’andamento dei prezzi di pochi beni da esportazione – fa notare Carbone –. La Tanzania, dalla sua, sta puntando molto sul turismo, tanto che gli arrivi, in poco più di un decennio, sono ormai raddoppiati, arrivando a un milione di visitatori l’anno. Il Paese è nella lista dei venti al mondo in cui il turismo crescerà maggiormente nel prossimo decennio, secondo solo alla Namibia nella regione». Si calcola che siano oltre 400mila i posti di lavoro direttamente o indirettamente legati al turismo. «Tra l’altro la Tanzania non subisce nemmeno l’instabilità di Paesi confinanti, a differenza ad esempio del Kenya con il terrorismo somalo», osserva Carbone. Oltre al turismo sono lo sviluppo dei servizi finanziari e delle telecomunicazioni, a trainare una crescita del Pil che quest’anno supererà il 7%. Altro fattore trainante è la maggiore integrazione regionale nell’ambito della Comunità dell’Africa orientale, organizzazione regionale che dal 2010 ha avviato un mercato comune tra gli Stati membri. Grande è inoltre l’attesa dopo la scoperta di grandi giacimenti di gas naturale, che diminuirà la dipendenza del Paese dall’import del petrolio. Ottimi anche i dati del Senegal e anche in questo caso è evidente l’accoppiamento sviluppo-stabilità politico-sociale. Due anni fa la vittoria alle presidenziali di Macky Sall contro l’allora capo di Stato Abdoulaye Wade non ha innescato alcuna violenza e la reputazione internazionale del Paese ne è uscita ulteriormente rafforzata. Gli investimenti nel settore agricolo e delle infrastrutture, accompagnati dalle riforme istituzionali ed economiche, hanno da una parte l’obiettivo di ridurre gli sprechi di risorse pubbliche, dall’altro quello di attirare gli investitori internazionali. Non solo. Dakar è capofila di uno dei progetti più interessanti e visionari di tutta l’Africa. Parliamo della Grande muraglia verde, un piano ambizioso lanciato nel 2005 e che vede coinvolti 13 Paesi del Sahel. Lunga 7.500 chilometri e larga una quindicina, questa sconfinata striscia di vegetazione punta ad essere un volano dello sviluppo regionale, preservando la biodiversità e mettendo un freno a povertà e migrazioni forzate con l’attenuazione dei cambiamenti climatici. Ebbene, il Senegal è per ora l’unico Paese ad aver già sviluppato alcuni progetti pilota, rigenerando oltre 26mila ettari nelle zone semiaride del Nord con la piantumazione di 11 milioni di alberi e piante e nuove attività produttive collegate, come i giardini polivalenti e l’ecoturismo. «Il Sahel è un’area fragile ma ha un potenziale straordinario, il Senegal può fare da apripista», rimarca Carbone. D’altronde non sarà un caso se dal 1990 a oggi Dakar è riuscita a più che dimezzare la povertà e la mortalità infantile, a raddoppiare il tasso di alfabetizzazione femminile, ad aumentare dal 61 al 72% l’accesso all’acqua potabile. E nei giorni scorsi il Senegal si è affacciato sui mercati per collocare titoli di Stato per 500 milioni di dollari, ricevendo ordini per 4 miliardi, a dimostrazione dell’enorme interesse internazionale per il Paese. A fine maggio, nella capitale mozambicana Maputo, Fmi e oltre 300 tra banchieri e rappresentanti governativi hanno partecipato a una conferenza sul tema dell’"Africa rising". L’ultimo outlook del Fmi dice che, escluso il Sudafrica, la sola Africa sub-sahariana crescerà del 6,5% nel 2014 e nel 2015. Il direttore del Fmi Christine Lagarde ha ammesso però che «questa rapida crescita deve essere ancora ampiamente suddivisa tra la popolazione, con molti africani che non vedono i frutti del successo economico». «C’è comunque un consolidamento della classe media, intesa come quella parte di popolazione che ha una capacità di spesa giornaliera tra i 2 e i 20 dollari – evidenzia Carbone –. Si tratta di persone che hanno un margine di spesa discrezionale che non è solo diretto all’alimentazione o alla casa, ma che può spendere per altri beni di consumo alimentando i mercati. Negli anni Novanta su questo fronte l’Europa ha perso terreno rispetto a Cina, India e Brasile. Ora deve recuperare terreno». L'Italia, in particolare, continua ad apparire in ritardo: solo negli ultimi tempi si è assistito ad iniziative da parte di istituzioni e imprese. La stessa recente missione in Mozambico, Angola e Congo del presidente del Consiglio Matteo Renzi è parsa ad alcuni analisti un’occasione sfruttata solo a metà. «Anche dall’Africa il dibattito mediatico si è concentrato più su questioni di politica interna, non cogliendo fino in fondo le opportunità che oggi molti Paesi africani offrono – conclude Carbone –. Da questo punto di vista c’è stato un flop comunicativo: serve di più per non restare indietro in un continente sempre più in crescita, come Ghana, Tanzania e Senegal dimostrano».