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Ucraina. Nel villaggio fantasma sul confine russo dove in 300 vivono senza luce e acqua

Giacomo Gambassi, inviato a Slatyne venerdì 18 novembre 2022

Viktor, 69 anni, vive a Slatyne in una casa semi-distrutta senza luce e acqua corrente. La moglie è morta di infarto durante i bombardamenti

«Ehi Viktor, ci sei?». Svetlana sa che la sua è una domanda retorica quando batte con una mano sul groviglio di lamiere che era il cancello d’ingresso. Viktor è di sicuro nella sua casetta. Il muro di recinzione ha uno squarcio che lascia intravedere il cortile diventato una discarica a cielo aperto per le macerie lasciate dagli attacchi russi. Di fronte, nella strada in terra battuta, un cratere racconta di una bomba caduta a luglio che ha fatto esplodere anche la conduttura del gas. Viktor si presenta con un’unica stampella e le ciabatte da contadino. Dimostra ben più dei suoi 69 anni. «Non mi sono pettinato», scherza. Ma il suo è un sorriso amaro, di chi ha perso tutto per la guerra. Anche la moglie. «È morta di crepacuore quando i nemici ci hanno bombardato per giorni. Il suo cuore non ha retto», sussurra. Nel vialetto che conduce alla porta alcuni mattoni nascondono la brace accesa. Lui ci mette sopra una teiera che ha riempito con l’acqua presa da un catino lasciato in un angolo di quello che era il giardino e ora è solo sterpaglia. Non c’è energia elettrica. E non c’è acqua corrente. Vale per la casa di Viktor. Vale per tutte le case di Slatyne.

Benvenuti nel villaggio ancora chiuso al mondo che l’Ucraina considera uno dei suoi ultimi fortini prima della Russia, nell’Est del Paese. La frontiera è a quindici chilometri; Kharkiv, la seconda città dello Stato che dà il nome anche alla regione, a trenta. C’è rimasto poco di Slatyne che il 24 febbraio, quando è iniziata l’aggressione voluta da Putin, è stato il primo abitato a essere invaso dai carri armati partiti da Belgorod, il capoluogo russo che si incontra appena oltre il confine. E qui i mezzi militari sono arrivati anche in treno. Perché la stazione di Slatyne era quella dello scambio fra le due nazioni: ora è uno scheletro che si allunga verso i binari devastati.

La stazione ferroviaria di Slatyne distrutta negli scontri - Gambassi

I mesi di combattimenti sulla linea del fronte hanno ridotto l’agglomerato a un infinito rudere in cui niente si è salvato. Sembra una nuova Chernobyl dove il fuoco incrociato ha avuto lo stesso effetto di un’esplosione atomica. Ancora i soldati presidiano le vie d’accesso, ben consapevoli che la riconquista del territorio da parte dell’esercito di Kiev è talmente fragile da poter essere cancellata da un momento all’altro con un nuovo blitz di Mosca.

La scuola di Slatyne distrutta durante i bombardamenti - Gambassi

Solo chi abitava qui può tornarci. Come Svetlana che riesce a far entrare anche il cronista con un permesso delle autorità municipali. Erano in 6mila prima della guerra. Sono rimasti in trecento. «Come farò ad affrontare l’inverno senza luce e acqua? Spero di resistere, soprattutto quando le temperature scenderanno a meno venti – sospira Viktor –. Questa è la mia terra, dove ho tutto ciò che mi è resta. Come faccio ad andarmene?». In mano ha una piccola torcia. Svetlana gli consegna un “pacco viveri” della Caritas greco-cattolica. Farà lo stesso con gli altri vicini. Perché lei fa la spola con Kharkiv dove si è trasferita assieme al marito e al figlio. E una volta alla settimana torna: per portare gli aiuti a chi ha scelto di non fuggire.

Svetlana di fronte a una casa distrutta a Slatyne - Gambassi

Anziani, ma non solo. Vladimir è l’amico muratore di una cinquantina d’anni. Non muove più una mano dall’estate. «Ero a prendere il cibo. I russi hanno lanciato un ordigno sulla gente in coda. Sono morti in cinque. A me una scheggia è infilata nel polso». L’hanno operato ma con scarsi risultati. Spiega che nella sua casa sono piovuti otto razzi: in giardino, sul tetto, nel soggiorno. «L’avevo costruita in 17 anni. I russi hanno scambiato la serra dei fiori per un deposito militare». Ha vissuto per mesi nel seminterrato: una stanza di tre metri per tre, senza finestre, con un materasso sulle assi di legno.

Il muratore Vladimir all'interno della sua villetta su cui sono caduti otto razzi - Gambassi

La villetta di fronte è di Konstantin. Si commuove quando esce dai detriti che ancora odorano di bruciato. «L’hanno colpita sette volte». Svetlana gli stringe le mani. «Aiutatemi, aiutatemi…», urla con rabbia mentre la moglie lo sostiene. «Era l’abitazione di mio padre. L’avevo da poco risistemata. Ormai è solo un ammasso di mattoni». Le strade sono una poltiglia di fango. Chi ci vive ancora descrive i cadaveri abbandonati nei fossati: di civili uccisi e di militari ucraini e russi morti negli scontri. Ancora si sentono i rumori della guerra: sono quelli dell’artiglieria lungo il confine che di tanto in tanto rompono il silenzio.

Konstantin di fronte alla sua casa completamente rasa al suolo dai missili - Gambassi

La cancellata al civico 23 è crivellata di colpi. Quando si apre, compaiono Vladimir e Viktor Mikhaylovich, 82 e 85 anni. Sono fratelli. «Non ci siamo mai allontanati, neppure nei momenti peggiori». Due missili sono arrivati nell’orto. «Siamo salvi per miracolo», dicono mentre attizzano il fuoco che servirà per cucinare qualche patata. I vetri restano in frantumi. E viene da chiedersi come resisteranno al gelo.

Vladimir Mikhaylovich, 82 anni, che con il fratello Viktor vive senza luce e acqua corrente - Gambassi

Dove c’è ancora l’asfalto, i cingolati dei carri armati lo hanno deformato. E quando lo si percorre in auto «sembra di avere un elicottero sopra la testa», ironizza Svetlana. Non c’è rete telefonica. «La mia villetta è quasi intatta», dice benché una voragine compaia nel retro. Il figlio 13enne Ivan abbraccia il razzo di un metro che era affondato nel giardino. «Ma sa che cosa mi ripeteva quando eravamo sotto assedio? “Meglio morire che vivere in questa situazione”». Ora ha ritrovato una parvenza di serenità. «Se ci fosse l’elettricità torneremmo subito qui. Ma a Ivan serve Internet per seguire le lezioni online». Anche se è un’apocalisse, non si può dire addio al villaggio che si è immolato per tutta l’oblast.

Il 13enne Ivan abbraccia il razzo di un metro caduto nel giardino di casa - Gambasi