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Intervista. Mio fratello, don Santoro: «un seme di speranza»

Danilo Paolini venerdì 5 febbraio 2016

Un seme di misericordia e di dialogo dal quale sono fiorite fede e speranza.
Oggi è l'anniversario dell'omicidio di don Andrea Santoro, sacerdote fidei donum ucciso con due colpi di pistola alla schiena il 5 febbraio 2006, mentre pregava nella chiesa di Santa Maria a Trabzon, in Turchia, di cui era parroco.

Maddalena Santoro è la sorella di don Andrea. Che cosa è cresciuto, in questi anni, nel nome di don Santoro?
È difficile quantificare, perché le difficoltà che i cattolici hanno a Trabzon purtroppo non sono cambiate molto da quando lui era lì. Però certamente ha gettato un seme. Oltre ai pochi cristiani locali e a quelli che transitano, provenienti dalla Georgia o da altri Paesi dell’ex Urss, adesso anche alcuni giovani locali si avvicinano, se non altro per curiosità, dopo aver studiato che in passato avevano, magari, bisnonni cristiani...
Insomma, il suo estremo sacrificio non è stato «inutile».
Di questo sono sicura. Lui diceva: «Noi dobbiamo essere secondo il Vangelo, luce e sale. Gesù non ci chiede di essere uno Stato, un territorio. Ci chiede di essere luce e sale». Di questo era convintissimo. Anche qui a Roma, tra i suoi ex parrocchiani e figli spirituali, sono nate quelle diverse vocazioni per le quali Andrea pregava sempre il Signore: padri di famiglia che hanno deciso di diventare diaconi permanenti, un ragazzo che ha scelto il sacerdozio dopo averlo conosciuto...
A don Andrea era molto cara l’immagine della finestra. Lui stesso diceva di voler «essere una finestra». Perché?
Nel 1981, quando fu inviato a “costruire” la parrocchia nell’allora nuovo quartiere di Verderocca fece realizzare tre porte- finestre con grandi vetrate che danno sulla strada: «Da fuori devono avere la possibilità di guardare dentro e viceversa ». Lo stesso ragionamento faceva per l’Occidente e il Medio Oriente. Era profetico.
Oggi, invece, sono tempi di paura, di chiusura... Verso don Andrea c’erano ostilità di natura politica?
Lui di politica non ne ha mai fatta. Da pastore curava i più vicini alla fede, ma andava sempre verso le «periferie», come dice il Papa oggi, cioè verso gli ultimi. E si sa che gli ultimi possono essere scomodi.