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La crisi. Trump-Maduro: si «tratta» l'uscita di scena del dittatore venezuelano

Lucia Capuzzi mercoledì 21 agosto 2019

Nicolàs Maduro a Caracas con la moglie Cilia Flores (Ansa)

La trattativa è in atto. Con quali obiettivi nessuno lo dice in modo esplicito. Le versioni ufficiali sono paradossalmente simili e ugualmente stringate. Il presidente Usa, Donald Trump, si è limitato a parlare di colloqui «con vari rappresentanti di Caracas, di livello molto alto. Stiamo cercando di aiutare il Venezuela in ogni modo possibile».

L’omologo e rivale di Caracas, Nicolás Maduro, ha confermato in diretta tv «contatti» con funzionari di grado elevato della Casa Bianca per far conoscere al leader Usa la «verità sul Paese». «Contatti esplicitamente autorizzati», ha voluto sottolineare. Il messaggio è chiaro: niente è stato fatto alle sue spalle. È davvero così? Difficile dirlo con certezza. John Bolton, consigliere per la sicurezza nazionale Usa, ha precisato su Twitter che ogni negoziato sarebbe finalizzato alla «partenza» di Maduro. Anche in questo caso, però, resta l’interrogativo se sia quest’ultimo a trattare la propria buonuscita o se, invece, siano i suoi a volerlo licenziare. O, ancora, se il tutto sia un “polpetta avvelenata” di Washington per sbriciolare la coesione – di per se non saldissima – del sistema chavista. Di certo, l’atmosfera all’interno del governo venezuelano ha cominciato ad aumentare da quando, lo scorso fine settimana, l’Associated Press ha fatto circolare la notizia di un «negoziato segreto» tra Washington e il numero due del governo, il presidente dell’Assemblea costituente, Diosdado Cabello.

L’uomo che, meno di un mese fa, si era detto disposto a portare avanti una guerra totale con gli Stati Uniti. Il numero due – oggetto di sanzioni personali e, al centro, di vari dossier per narcotraffico internazionale – sembrava uno degli interlocutori meno probabili per la Casa Bianca. In effetti, né Trump né Maduro hanno fatto il suo nome. E Cabello, all’indomani delle indiscrezioni, le aveva definite «bugie e manipolazioni». L’esperienza della fallita sollevazione del 30 aprile – guidata dal capo dell’opposizione Juan Guidó – ha mostrato agli Usa che, senza il sostegno delle forze armate, non è possibile alcuna “spallata” al chavismo. Da sempre, il braccio militare di quest’ultimo è Cabello, uomo forte del sistema. Fin troppo, sostengono alcuni: sarebbe proprio il capo del partito a ordinare le purghe cicliche nelle caserme per stroncare sul nascere ogni fermento di ribellione.

Il pugno di ferro di Cabello è stato determinante finora per tenere Maduro – un civile, al contrario del predecessore Hugo Chávez – a Miraflores. Ora, un suo voltafaccia, potrebbe rivelarsi altrettanto determinante per farlo uscire dal palazzo presidenziale. Da qui l’idea di un contatto. A fare da ponte, secondo fonti Usa, sarebbe stato il funzionario del Consiglio di sicurezza nazionale, Mauricio Claver-Carone che avrebbe visto Cabello a Caracas a luglio. Questo stesso mese ci sarebbe stato un secondo abboccamento, stavolta a Washington: il numero due del governo venezuelano non sarebbe andato di persona ma attraverso un proprio intermediario. Entro sabato era prevista una terza riunione in Venezuela, con tutta probabilità saltata dato il moltiplicarsi delle indiscrezioni. Qualcuno, all’interno del governo Usa, non esclude nemmeno che fosse proprio questo l’obiettivo della “fuga di notizie”. Per una parte del dipartimento di Stato, un asse con Cabello sarebbe un prezzo troppo alto per sbarazzarsi di Maduro. Altri settori, però, sarebbero disposti a “baciare il rospo”, anche per le scarse simpatie di Cabello per Cuba che consentirebbero di isolare ulteriormente l’Avana.

A 7 mesi dall’autoproclamazione dell’oppositore Juan Guaidó a presidente legittimo, la situazione è in fase di stallo. Il riconoscimento Usa e di altri 53 Paesi non ha prodotto lo sperato cambiamento. Né lo hanno fatto le sanzioni economiche: l’ultima – la più pesante – risale a due settimane fa e congela i beni del governo venezuelano in territorio Usa. La tentazione di trovare alternative è forte, specie ora che la campagna per le presidenziali 2020 si avvicina. Certo, Trump deve vedersela con la Russia. Mentre Maduro parlava in tv, la vice Delcy Rodríguez ha portato a Mosca una lettera di ringraziamento del presidente per il capo del Cremlino, suo “grande protettore”.