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Stati Uniti. Trump, se la presidenza è un «affare di famiglia»

Paolo M. Alfieri giovedì 17 novembre 2016

Il presidente eletto Donald Trump con la famiglia (Ansa)

Una vera e propria guerra intestina, che sta già lasciando le prime vittime sul campo. Le tensioni nell’entourage di Donald Trump minacciano di interferire e rallentare la transizione in vista dell’ingresso alla Casa Bianca. Nonostante il presidente eletto neghi i dissapori, parlando di «un processo molto organizzato », la sfida interna è sotto gli occhi di tutti. Ultimi a essere defenestrati l’ex deputato del Michigan Mike Rogers e il lobbista Matthew Freedman. Varie fonti li indicano come vittime dell’epurazione voluta dal 35enne Jared Kushner, il genero di Trump, marito della figlia Ivanka (da cui ha avuto tre figli) e stratega della campagna del miliardario.

Venerdì scorso era già stato allontanato Chris Christie, sostituito come capo della squadra di transizione dal vicepresidente Mike Pence. Il governatore del New Jersey ha pagato lo scotto di aver mandato il padre di Kushner in prigione quando era ancora procuratore federale, condannandolo nel 2004 a due anni di carcere per evasione fiscale. Epurati anche quelli considerati a lui vicini. Rogers, che si occupava dei temi legati alla sicurezza nazionale, era dato in corsa per la guida della Cia. «A volte in politica vi sono persone che rimangono dentro e persone che vengono fatte uscire, e le persone a cui è stato chiesto di uscire hanno tutte un rapporto con Chris Christie», ha detto lo stesso Rogers alla Cnn.

Una versione dei fatti che quindi smentirebbe ogni possibile apertura del cerchio magico di Trump (di cui fanno parte, oltre ai figli e al genero, il senatore dell’Alabama Jeff Sessions, l’ex capo del sito di estrema destra Breitbart Steve Bannon e il generale a riposo Michael Flynn) a settori del partito repubblicano che hanno contrastato l’ascesa del tycoon. Una chiusura particolarmente evidente sul fronte della politica di sicurezza. Ne è un esempio la vicenda di Eliot Cohen, un ex alto funzionario del dipartimento di Stato ai tempi di George W. Bush, che nei giorni scorsi aveva incoraggiato esperti di politica di sicurezza repubblicani, che a decine durante la campagna elettorale avevano firmato manifesti contro Trump, ad unirsi al presidente eletto. Ma nel giro di pochi giorni Cohen ha cambiato tono ed ha scritto su Twitter: «Dopo incontri con la squadra di transizione, cambio il mio consiglio, state lontani, sono arrabbiati, arroganti, urlano “avete perso”, sarà terribile». Cohen ha denunciato che gli uomini di Trump lo hanno sbranato quando gli ha proposto nomi per la nuova amministrazione: «Pensano solo a yes-man».

Kushner, che sovrintendeva la campagna elettorale on-line, ha esercitato finora la sua influenza da dietro le quinte: ha tessuto i rapporti con i repubblicani, scritto discorsi, detto l’ultima parola su decisioni chiave. Trump ha chiesto che sia autorizzato a partecipare (insieme al generale Flynn) ai briefing quotidiani nei quali il presidente viene messo a parte di informazioni di intelligence top-secret. Un’immagine della centralità di Kushner emerge dalle immagini trasmesse la scorsa settimana dalla Casa Bianca dopo il primo incontro tra Trump e Barack Obama. Sullo sfondo, si vedeva il capo dello staff di Obama, Denis McDoungh, con Kushner mentre i due passeggiavano sul prato della Casa Bianca. Insomma, una prova visiva a sostegno di chi ritiene che le redini effettive della transizione siano tenute da lui, insieme alla moglie Ivanka e agli altri due figli adulti di Trump, Donald jr. e Eric. Cosa che rischia di aprire un altro capitolo sul conflitto di interessi dell’amministrazione Trump, dopo quello relativo ai figli del tycoon che continueranno a guidare il suo impero economico.

Sulla transizione Trump ha provato a tranquillizzare: «È in corso un processo molto organizzato perché sto decidendo sul governo e molte altre posizioni. Sono l’unico a sapere chi sono i finalisti». Tutto secondo i piani anche stando a Rudolph Giuliani, l’ex sindaco di New York, dato tra i favoriti come segretario di Stato: «Sono cose difficili da fare. Le transizioni hanno sempre intoppi, è un processo enormemente complesso». Vari osservatori criticano l’inesperienza in politica estera di Giuliani, mentre del suo rivale, l’ex ambasciatore all’Onu John Bolton, è nota la mancanza di mezze misure: lo scorso anno disse, tra l’altro, che gli Usa avrebbero dovuto bombardare l’Iran per metter fine al suo programma nucleare.