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DIRITTI UMANI. Tortura, una ferita aperta

Alessandro Monti domenica 12 dicembre 2010
Nonostante l’universale condanna morale della tortura come aberrante forma di sopraffazione fisica e psicologica; nonostante l’assoluto divieto di tortura e di trattamenti disumani, crudeli e degradanti sia previsto in tutti i principali strumenti normativi internazionali di tutela dei diritti umani e da una apposita Convenzione delle Nazioni Unite firmata a New York il 10 dicembre 1984; nonostante tale divieto sia stato confermato e sanzionato da corti di giustizia sovranazionali, molti governi non contrastano efficacemente la tortura, anzi alcuni di loro sono propensi a legittimarla per fronteggiare il terrorismo internazionale: come se la tortura divenisse "giusta" perché inflitta in nome della sicurezza.Escalation della "violenza istituzionalizzata".Così continuano, in alcuni Stati si moltiplicano, arresti e detenzioni illegali, torture e maltrattamenti, spesso con esiti letali, comunque con segni indelebili sul corpo. Continuano perché molti Paesi non hanno ratificato la Convenzione Onu contro la tortura o, pur avendolo fatto (come l’Italia), non l’hanno recepita nella loro legislazione. Si può torturare impunemente perché manca la definizione giuridica delle pene e dei trattamenti inumani e degradanti che impedisce non solo di perseguire i colpevoli e di riconoscere il diritto al risarcimento, ma di elaborare azioni mirate di prevenzione e di deterrenza. Le torture possono praticarsi perché cresce l’indifferenza per le iniquità e le ingiustizie che non ci riguardano da vicino, considerate fenomeni ineluttabili, come la morte per fame e pandemie di milioni di persone. Molto rilevante nell’attenuare il moto di naturale ripulsa per la tortura appare il ruolo svolto da cinema e tv che, nelle loro fiction, offrono della tortura una immagine edulcorata e fuorviante. Chi subisce torture è presentato o come un criminale cui estorcere la confessione di gravi delitti e informazioni in grado di salvare vite umane, o come un eroe sottoposto a temporanei maltrattamenti dai quali riesce sempre a sfuggire con la propria forza senza conseguenze per la sua salute. Lo spettatore medio è indotto così a ritenere la tortura utile alla convivenza civile anche se provoca sofferenze e morte.Il filosofo del diritto Ronald Dworkin afferma che nel «regno degli ideali politici l’uguaglianza è oggi la specie più in pericolo» (Virtù sovrana). In effetti, se la libertà, nelle sue varie declinazioni, è sempre più presente nei discorsi politici, l’eguaglianza dei cittadini sembra aver smarrito tutto il suo appeal: sempre più rarefatte appaiono le lotte per la sua realizzazione, come se esistesse ovunque pienamente appagata e non dovesse, invece, essere promossa e sostenuta perché ovunque calpestata. Si assiste infatti alla progressiva perdita di valore del principio della "pari dignità e considerazione" che spetta a tutti gli essere umani, indipendentemente dalla nazione di appartenenza e dalla situazione in cui si trovano, dando spazio ai fenomeni di tortura e violenza per motivi politici, sociali, etnici, razziali nei confronti di persone rese inermi e prive di difesa.La tortura come "ingiustizia rimediabile"Ma non ci si può limitare a prendere atto che i Paesi beneficiari di progresso scientifico, benessere economico e civiltà democratica ripudiano la tortura solo formalmente, mentre nei fatti la tollerano o la incoraggiano: né più e né meno come nei secoli bui della peggiore barbarie, con l’unica differenza che oggi si dispone di tecniche e metodi più sofisticati per la loro pratica. Non si può non reagire alla disinformazione pressoché generalizzata sui trattamenti inumani, all’assuefazione e all’inerzia che ne derivano, testimoniando con forza che libertà ed eguaglianza sono i cardini indissolubili e irrinunciabili della giustizia, che non può tollerare la violenza in ogni sua manifestazione e le sofferenze che provoca.La tortura, infatti, è da ritenere una delle «ingiustizie rimediabili», come l’economista e filosofo Amartya Sen (L’idea di giustizia) definisce le ingiustizie eclatanti che possono essere sconfitte, o fortemente attenuate, se contestate a gran voce e tallonate con costanza e determinazione, anche con piccoli ma reiterati gesti simbolici, come avvenuto storicamente per l’abolizione della schiavitù e della segregazione razziale e, da ultimo, per l’accesso sempre più largo alle vaccinazioni e alle cure mediche di base per le popolazioni dei Paesi poveri.Non vanno sottovalutati, però, natura ed estensione del fenomeno. La tortura, con le sue dolorose conseguenze sulla vita di migliaia di persone e loro famiglie, è presente e si dilata non solo nei Paesi retti da regimi militari e nelle dittature brutali e corrotte, non solo quando infuriano guerre o conflitti razziali, ma anche nelle numerose nazioni a democrazia matura che vivono in pace: Amnesty International nel Rapporto annuale 2010 rileva che ben il 79% delle torture e dei maltrattamenti si registra negli Stati del G20, cioè nei 20 Paesi più potenti e produttivi del mondo, a partire dagli Stati Uniti fino alla Cina. Come è noto, raramente la tortura è inflitta per iniziativa autonoma del singolo agente di polizia, più spesso è ordinata o autorizzata dall’alto. Per fermarla occorre, dunque, agire tempestivamente sui governi dei Paesi responsabili di torture in atto di cui si ha conoscenza diretta o mediante le segnalazioni periodiche delle organizzazioni indipendenti riconosciute dall’Onu. Innanzitutto, con petizioni e lettere-appello, pressanti e motivate, alle più alte autorità per la sospensione dei maltrattamenti e la liberazione di chi è illegalmente imprigionato informando le rispettive rappresentanze diplomatiche, le Chiese e i media. Le veglie di preghiera, che Azione dei cristiani per l’abolizione della tortura (Acat) aggiunge agli appelli-urgenti, nutrono la speranza, in alcuni casi avveratasi, del ravvedimento dei torturatori, esecutori e mandanti. Ma per sradicare la tortura occorre approfondirne la conoscenza delle sue complesse dinamiche politico-istituzionali e antropologiche attraverso indagini empiriche e ricerche sul campo. Si deve insomma agire su più piani e con più strumenti d’intervento. Se ai fini della prevenzione è strategico l’impegno di scuola, università e Ong nel promuovere non violenza e lotta contro i trattamenti crudeli, inumani e degradanti, sul piano della deterrenza spetta al Parlamento dare l’esempio approvando al più presto la legge che introduce nel codice penale il reato di tortura, attuando finalmente la Convenzione Onu ratificata dall’Italia da oltre 20 anni.