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Africa. Guerra in Etiopia, in Tigrai primi morti per fame

Paolo Lambruschi mercoledì 27 gennaio 2021

Primi morti per fame nel Tigrai. E la Chiesa cattolica etiope chiede solidarietà agli organismi caritativi internazionali per lanciare un piano annuale contro quella che le stesse autorità locali chiamano «la peggiore emergenza di sempre».

La situazione, confermano tutte le agenzie umanitarie, è drammatica per la popolazione della regione settentrionale etiope dopo quasi tre mesi di conflitto tra governo regionale del Tplf e il governo centrale guidato da Abiy Ahmed e 60 giorni di isolamento comunicativo e blocco degli aiuti umanitari.

In una regione povera e secca, alla distruzione della guerra in particolare di raccolti, siti produttivi e di molte strutture sanitarie vanno sommati i danni provocati dall’immenso sciame di locuste che da oltre un anno infesta il Corno d’Africa alimentato dai mutamenti climatici e la pandemia che ha bloccato confini, turismo e scambi.

Il rischio, in questo angolo remoto noto agli italiani non solo per la storia coloniale, ma per l’opera di tanti missionari e delle Ong cattoliche, è una carestia peggiore di quella che commosse il mondo a metà degli anni Ottanta, un autentico tsunami umanitario.

Dopo l’appello lanciato dal vescovo dell’eparchia di Adigrat Tesfaselassie Medhin per aiutare una popolazione «che ha bisogno di tutto», il segretario generale della Conferenza episcopale etiope, padre Feshome Fikre, è riuscito quasi due settimane fa a raggiungere la diocesi insieme agli operatori del Catholic relief service, la Caritas statunitense che nel capoluogo regionale Macallè ha raggiunto con i primi aiuti di emergenza un decimo della popolazione cittadina, 50mila persone.

Lunedì scorso Abraha Desta, responsabile dei servizi sociali dell’amministrazione regionale ad interim insediata dal governo di Addis Abeba, ha dichiarato che 13 persone, tre dei quali bambini di Adua, sono morti per fame in una crisi «senza precedenti». Le stime di chi ha bisogno di cibo e assistenza sanitaria sono state riviste in pochi giorni raddoppiando da 2,2 a 4,5 milioni di tigrini su 6 milioni mentre più di 2,5 milioni sono gli sfollati e circa 60mila i profughi fuggiti in Sudan. Un milione di persone dipendeva dagli aiuti umanitari prima del conflitto.

«Il problema principale è la malnutrizione – spiega padre Teshome – e a rischio fame ci sono bambini sotto i 5 anni, donne in gravidanza, le mamme e gli anziani. Dobbiamo intervenire in fretta». Padre Teshome ha visto Macallè e Adigrat. «L’altra emergenza è quella sanitaria. Manca l’acqua potabile, l’assistenza medica sta riprendendo ma l’igiene è precaria. In diverse zone le banche sono chiuse e manca la corrente. I collegamenti telefonici sono stati ripristinati nel capoluogo Macallè e ad Adigrat».

Ma è possibile distribuire gli aiuti a tutti, come chiedono le agenzie Onu, oppure si combatte ancora? «In alcune zone – conclude il sacerdote – ci sono ancora scontri tra le milizie regionali e le forze governative, come hanno dichiarato anche le autorità. Per distribuire gli aiuti in alcune aree sarà perciò necessario l’esercito. Abbiamo incontrato le autorità locali, il governo ad interim regionale, che ci hanno ribadito la richiesta di aiuti urgenti».

Il piano di aiuti della Chiesa cattolica per aiutare il Tigrai stremato prevede aiuti alimentari e generi di prima necessità da distribuire soprattutto alle fasce deboli. Poi aiuti sanitari, il ripristino dell’agricoltura e l’aiuto ai profughi nei campi in Sudan. La Chiesa etiope, le cui strutture e le chiese sono state danneggiate e saccheggiate anche ad Adigrat, se ne farà carico in parte e ha già chiesto aiuto a organizzazioni caritative come Caritas internationalis. Sconfiggere la fame è ora il primo passo verso la pace.