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Razzismo a scuola. Texas, dodicenne nera umiliata dai compagni

Elena Molinari sabato 18 giugno 2016

Legata con una corda alla gola, buttata a terra e trascinata per qualche metro. Abbastanza perché la fune scavasse una profonda ferita circolare attorno al collo. Non è una scena di un film sull’abolizionismo, né la descrizione di un linciaggio degli anni Sessanta nel profondo Sud americano, ma un atto di bullismo che una ragazzina di 12 anni, nera, ha dovuto subire per mano di tre compagni di classe bianchi in Texas. La scuola, un istituto privato di Waco, parla di un «incidente». Ma la famiglia fa notare di non essere stata informata dalla direzione dell’accaduto e di averlo scoperto più di 24 ore dopo, quando la bambina è rientrata con la classe da una gita in campeggio.

Quando è scesa dall’autobus, la ragazzina – indicata con le iniziali KP – non aveva ancora ricevuto attenzione medica: è stata la madre a portarla subito al pronto soccorso. È successo ad aprile. Per due mesi i genitori hanno cercato una soluzione con l’amministrazione scolastica, ma di fronte al rifiuto del preside di investigare l’episodio e di prendere provvedimenti, hanno ora deciso di querelare sia la Live Oak Classical School che il ranch dove la classe era andata in gita. Chiedendo un risarcimento per tre milioni di dollari per «grave negligenza», nella speranza di «mandare un messaggio chiaro», come ha spiegato l’avvocato della famiglia. 

La notizia della traumatica disavventura di KP è piombata sugli Stati Uniti a un anno esatto dalla strage di Charleston, quando un giovane bianco uccise a bruciapelo nove membri di una chiesa metodista che lo avevano accolto fra di loro a pregare. E ricorda agli americani che il progresso nelle relazioni razziali promesso dall’elezione di un presidente afroamericano non si è avverato. Al contrario, la metà degli statunitensi è convinta che il razzismo sia peggiorato negli ultimi otto anni. Solo un quarto, stando a un sondaggio della Cnn, pensa che si sia attenuato. Secondo alcuni le tensioni razziali sono semplicemente tornate allo scoperto, fatte emergere proprio dal risentimento di alcuni e dall’orgoglio di altri per la presenza di un commander in chief dalla pelle scura alla Casa Bianca, oltre che da una dolorosa recessione che ha aumentato le paure della classe lavoratrice bianca.

E di certo la campagna elettorale in corso, con gli espliciti riferimenti di Donald Trump a musulmani e latinos, come a «criminali, stupratori e terroristi», ha contribuito a esacerbare tensioni razziali latenti. Non è facile dire allora se gli americani oggi siano più razzisti di quando una maggioranza votò per Barack Obama nel 2008. Ma è innegabile che segni di odio nei confronti di persone non bianche emergono con maggiore frequenza. Come i membri di una confraternita bianca all’Università dell’Oklahoma che inneggiano a un linciaggio in un video, o il cappio appeso a un albero trovato all’Università di Duke, o l’indagine federale che ha identificato «espliciti comportamenti razzisti» nella polizia di Ferguson e ad alti livelli di quella di San Francisco. O come l’orrore vissuto durante una gita scolastica da una dodicenne che, dopo essere stata aggredita, secondo la querela ha dovuto liberarsi da sola, perché «nessun altro l’ha aiutata ad alzarsi o a togliersi il laccio dal collo».