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IL REGIME DEGLI AYATOLLAH. Teheran teme l’effetto Egitto Karrubi finisce agli arresti

Laura Silvia Battaglia venerdì 11 febbraio 2011
L’Onda verde, in piazza, farà a meno del suo leader. Mehdi Karrubi, capo del­l’opposizione iraniana al governo, è stato arrestato ieri, nella sua casa di Teheran, al­la vigilia del 32esimo anniversario della Rivo­luzione islamica, che cade oggi. La conferma è stata data dal figlio stesso di Kar­rubi, su SahamNews , il sito dei democratici an­ti- governativi. Karrubi, in­sieme a Mir-Hossein Mus­savi, altro leader dell’op­posizione, stavano orga­nizzando per il 14 febbraio una manifestazione nella capitale a sostegno delle ri­volte in Egitto e Tunisia. Il figlio di Karrubi, che per primo ha diffuso la notizia, sarebbe stato fermato da­vanti la casa del padre da un gruppo di agenti della sicurezza che da tempo vi stazionano per attività di osservazione. Gli sarebbe stato inti­mato di non entrare in casa, dove Karrubi si tro­verebbe agli arresti domiciliari; l’unica perso­na a cui non sia stato dato il divieto d’accesso fino al 14 febbraio è la moglie del leader del­l’opposizione. Già due giorni fa i Pasdaran a­vevano messo in guardia l’opposizione dalla tentazione di ritornare in piazza il 14 febbraio e i siti anti-governativi davano notizia dell’ar­resto di altri due politici: il collaboratore di Kar­rubi, Taghi Rahmani, e Mohammad Hossein Sharifzadegan, ex ministro nel governo del pre­sidente riformista Mohammad Khatami e membro dell’ufficio elettorale di un altro lea­der dell’opposizione. Da mesi Karrubi e Mus­savi denunciano di trovar­si nel mirino del governo, sottoposti a un regime di stretta sorveglianza, con­trollo dei loro movimenti e limitazione degli incon­tri con i loro sostenitori. Ie­ri, la notizia dell’arresto, dopo che il procuratore ge­nerale, Gholamhossein Mohseni-Ejei ha accusato i due leader dell’opposizione di volere creare «divisioni» all’interno del Paese con la manife­stazione prevista per il 14 febbraio. Il governo iraniano, in questi giorni, ha sostenuto le pro­teste in Tunisia e, soprattutto, in Egitto, para­gonando Hosni Mubarak allo scià Reza Pahla­vi e le proteste in piazza Tahrir allo stesso mo­vimento di Liberazione che segnò la nascita, 32 anni fa, della Repubblica i­slamica. Ma Karrubi ha spostato l’as­se della pro­paganda sulle contestatissime elezioni presi­denziali del 2009, la cui validità aveva dura­mente contestato insieme a Mussavi, accusan­do il presidente iraniano Mahmoud Ahmadi­nejad di brogli. E le sue parole, nei giorni scor­si, riferite al governo, avevano il segno di una vera e propria sfida: «Se non daranno il per­messo al loro stesso popolo di protestare, ciò andrà contro quello che dicono a sostegno del­la rivoluzione in Egitto». Karrubi e Mussavi hanno anche insistito sulla dimostrazione di forza di entrambi i regimi, af­fermando che «l’arresto di manifestanti e l’uc­cisione di giovani uomini e donne, nelle strade e nelle prigioni non hanno potuto salvare gli autoritari dalla perdita della fiducia della po­polazione ». Come dire che, alla rabbia, alla “ho­gra” delle popolazioni del Mahgreb nei con­fronti di una elite di potere e, per esteso, ai per­siani della Repubblica iraniana, la repressione fa un baffo rispetto alla possibilità di ritornare in piazza. Nel Paese dell’ex scià, comunque, il malcon­tento, rispetto alla politica interna, è alto. Dal giugno 2007 il Paese raziona la benzina per au­to, nel timore di nuove sanzioni Onu. E dalla fi­ne di dicembre 2010 è duramente provata da u­na riforma economica che ha tagliato i sussidi pubblici che mantenevano artificiosamente basso il prezzo del carburante (11 centesimi di dollaro al litro, paria a mille rial nel 2007), qua­druplicandolo. Le sanzioni Onu sono arrivate e l’Onda verde, che ha dimostrato per prima l’efficacia dei social network nelle sollevazioni di massa, guarda all’Egitto e alle proprie tasche, non dimentica Nasser e preme.