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La storia. Sud Sudan, suor Maria e la sfida sanitaria di Wau

Paolo M. Alfieri giovedì 27 novembre 2014
«Ricordo sempre quanto mi ha detto il marito di una paziente che di notte doveva scappare coi gemellini lattanti per mettersi al sicuro: «Finché voi suore siete qui, so che Dio non ci ha abbandonato e per noi prima o poi un futuro ci sarà». Di storie così la trentina suor Maria Martinelli ne ha vissute tante. Da quasi tre decenni la religiosa formatasi nella Congregazione delle Missionarie comboniane, per cui ha fatto professione religiosa nel 1987, è al servizio dell’Africa e delle sue genti.
Forte di una laurea in Medicina, suor Maria ha viaggiato in lungo e in largo nel continente. Fino ad arrivare nel 2008 a Wau, nell’attuale Sud Sudan. «Guardando alla mia storia – racconta – non sono certo mancate difficoltà e tensioni, proprio perché legata alla storia dei popoli con cui ho condiviso un pezzetto di vita. In Uganda erano gli anni in cui il movimento dell’Lra seminava terrore nella nostra zona; in Etiopia ho vissuto il periodo di smarrimento e cambiamento dopo la caduta di Menghistu; nei miei primi anni in Ciad era ancora in corso una ribellione nel Sud e mi capitava spesso di dover soccorrere feriti; qui in Sud Sudan sappiamo come vanno le cose».Il Sud Sudan è considerato dall’Onu agli ultimi posti per indice di sviluppo. Nel 2008 suor Maria vi arriva per avviare una scuola per infermieri professionali. «Malta, mattoni e tantissima pazienza – riassume suor Maria – un’avventura esaltante con le sue sfide e soddisfazioni, da cui è uscita una scuola di qualità». A un certo punto inizia un’altra sfida, quella del S. Daniel Comboni Hospital di Wau, «una risposta al bisogno immenso di servizi sanitari accessibili nella regione». La ristrutturazione dell’ospedale è iniziata a novembre 2009 e sta terminando ora. Già dal 2011, peraltro, è in funzione il servizio di ambulatori per esterni, con farmacia, medicazioni, piccola chirurgia, radiologia e prevenzione materno-infantile. I numeri sono già importanti: nel 2013 ci sono state 3.965 ammissioni, di cui la maggior parte di maternità, mentre i servizi ambulatoriali hanno curato oltre 45mila malati, tra cui 14mila bambini, e sono state effettuate 6.800 visite prenatali. «I pazienti vengono anche da lontano e tra loro molti sono quelli che vivono in povertà».Insieme a suor Maria ci sono un fratello comboniano, le Francescane missionarie per l’Africa e la Ong Aispo, che, per sostenere l’ospedale, ha lanciato una campagna di raccolta fondi (con testimonial al Bano) attraverso un sms solidale al 45595, attivo fino a domenica. L’obiettivo è di fornire farmaci, piccole attrezzature sanitarie e combustibile. Lo staff sanitario di Aispo si occuperà inoltre di formare il personale locale e gli studenti dell’Università di Infermieristica di Wau. Ad allarmare è soprattutto il tasso di mortalità infantile (6,8%) e di mortalità materna (2%), tra i più alti del mondo. Su mille bimbi nati vivi, ben 68 non arrivano a compiere un anno, a fronte di soli 3 casi in Italia. Dati allarmanti che rispecchiano la situazione complessiva di un Paese in cui anni di conflitti armati hanno causato fame, povertà e gravi carenze in ambito sanitario. «Ho visto la speranza avere la meglio sulla follia della violenza – conclude suor Maria –. Ed è questa speranza che mi ha guidata e mi fa guardare ora al Comboni Hospital come segno di impegno».