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L'INTERVISTA. «Suez, test della potenza regionale americana»

Luca Geronico sabato 12 febbraio 2011
«L’esercito, in Egitto, può essere un ele­mento di stabilità nel breve, ma non nel lungo periodo». Arduino Paniccia, docente di Studi strategici all’Università di Trieste, commenta a caldo le dimissioni di Mubarak, l’uomo che per 30 anni ha fatto da garan­te degli assetti geopolitici sulla sponda Nord del Mediterraneo.Professor Paniccia, il «nuovo inizio» delle rela­zioni con il Medio Orien­te degli Usa non è stato il discorso di Obama al Cai­ro nel 2009 ma il crollo dell’alleato storico a cui ogni anno gli Usa versa­vano 1,3 miliardi di dollari. A che fi­ne?Il più ingente finanziamento ameri­cano dopo quello di Israele. Gli Usa hanno fornito armamenti e soprat­tutto addestrato i servizi di informa­zione e i reparti speciali.Per quale contropartita?Gli americani avevano due posizio­ni nella sponda nordafricana per si­curezza e antiterrorismo: l’Egitto e il Marocco, per ora saldo. La presenza in Egitto serviva anche al controllo del canale di Suez. Non a caso l’Iran ha subito denunciato un possibile in­tervento americano nel canale. Una prospettiva non realistica anche se gli americani hanno nell’area sei na­vi, alcuni sommergibili, e almeno 5mila truppe anfibie. Canale di Suez e Mar Rosso sono quindi già presi­diati.Intanto cosa avviene nell’intera re­gione?Si sta spostando la frontiera avanza­ta americana: dalla lotta al terrori­smo fino ai confini con Pakistan e In­dia, da Iraq, Afghanistan, dai confini con Federazione russa e Cina, le for­ze Usa si stanno dispiegando in po­sizioni più arretrate. Sarà decisivo ca­pire se gli americani deci­deranno di difendere il passaggio del canale di Suez assieme ai militari e­giziani oppure se, impe­gnati sul altri fronti, pian piano abbandoneranno la storica presenza per u­na posizione più atlanti­ca, puntando tutto sul Marocco. Con Israele che ora potrebbe trovarsi gli americani in «retrovia».Intanto all’interno dell’Egitto cosa potrebbe avvenire?Conteranno molto le pressioni dei colonnelli, che sono i comandanti delle truppe sul campo, sulla triade Suleiman-Tantawi-Anan (vicepresi­dente, ministro della Difesa e capo di stato maggiore). L’accordo potrebbe prevedere che l’esercito mantenga ordine pubblico e i rapporti con la popolazione fino alle elezioni prima dell’estate. Una supplenza più lun­ga, invece, spaccherebbe definitiva­mente le forze armate. Uno scenario molto rischioso.Intanto anche dall’Arabia Saudita vengono segnali di difficoltà: un al­tro asse della politica americana che sembra incrinarsi.Sicuramente. Dieci anni dopo l’at­tacco all’Iraq restano grandi dubbi sulla presenza Usa. Sembra che la su­perpotenza o venga colta di sorpre­sa o abbia un agire non così profes­sionale come ci si aspetterebbe: una politica che sembra dettata più dagli Stati maggiori che da una vera «dot­trina Obama».Con lo spettro di un Nord Africa de­stabilizzato quali le priorità per la si­curezza di Europa e Italia? Seria cooperazione economica an­che in un momento di depressione, attivare un processo di sicurezza in cui la nostra Marina ha già un ruolo determinante. E soprattutto garanti­re che rimanga aperto il canale di Suez. Altrimenti, dieci anni dopo a­ver voluto esportare la globalizzazio­ne, l’area del Sud Europa rischia, per un effetto boomerang, di esserne ta­gliata fuori del tutto.