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Dopo il golpe. La strage non ferma la rivolta in Sudan: la piazza sfida i militari

Fabio Carminati mercoledì 5 giugno 2019

Le proteste nel centro di Khartum (Ansa)

Dopo l'ennesimo massacro, dopo che per la terza volta i soldati golpisti hanno aperto il fuoco sui sit-in dell'opposizione, i colonnelli sono ora appaiono più deboli. Hanno perso l'iniziale consenso della piazza, l'appoggio internazionale e, soprattutto, hanno gettato la maschera: sono solo un'altra faccia della stessa dittatura che per decenni ha retto le sorti del Paese, accusato di crimini contro l'umanità dai giudici della Corte penale. Il bilancio dell'ultimo massacro è pesante, come del resto i due precedenti dopo la defenestrazione del dittatore Omar el-Bashir. Sono saliti ad almeno 60 i morti e decine i feriti, lo confermano fonti mediche indipendenti, nell'attacco di lunedì a Khartum.
Nonostante la dura repressione dell'esercito, i dimostranti continuano però a sfidare i militari erigendo nuove barricate nei sobborghi della capitale. Nazim Sirraj, uno dei leader dell'Associazione dei professionisti sudanesi che ha guidato la protesta fin dall'inizio, ha dichiarato che migliaia di persone hanno celebrato ieri la festa di Eid el-Fitr, che segna la fine del Ramadan, nonostante la giunta militare avesse proclamato per oggi i festeggiamenti. Secondo un portavoce dell'Associazione, Mohammed Yousef al-Mustafa, la decisione dei militari mirava invece a tenere le persone in casa dopo il "massacro". Mentre il regime dei militari ha ribadito, come in ogni occasione, le accuse all'opposizione di essere "guidata da fedelissimi" di Bashir.


È durato invece l'arco di poche ore il fallimentare tentativo di "apertura" da parte dell'esercito. L'opposizione sudanese ha infatti respinto il piano annunciato dal capo del Consiglio militare transitorio, il generale Abdel Fattah al-Burhan, che prevedeva elezioni entro 9 mesi. "Respingiamo tutto quello che è contenuto nelle dichiarazioni di al-Burhan", ha ribattuto Madani Abbas Madani, un altro esponente di spicco delle Forze per la libertà e il cambiamento, l'alleanza di opposizione.
A livello internazionale si colgono però solo flebili tentativi di affrontare la crisi che sta paralizzando l'intero Paese e che si sta in parte riverberando anche sul confinante Sud Sudan. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite aveva in programma ieri sera una riunione a porte chiuse sulla situazione. La riunione è stata convocata su richiesta della Gran Bretagna e della Germania dopo che il segretario generale Onu, Antonio Guterres, ha contestato alle forze della sicurezza del Sudan un "uso eccessivo" della forza.
"Quello che è chiaro è che c'è stato un uso eccessivo della forza da parte delle forze della sicurezza contro i civili. Sono morte delle persone e altre sono rimaste ferite", ha detto il portavoce dell'Onu Stephane Dujarric a poche ore dall'inizio del vertice. Guterres ha chiesto alle autorità sudanesi di favorire un'indagine indipendente sulle morte e di consegnare alla giustizia i responsabili. Il segretario generale dell'Onu ha quindi ribadito che "solo il dialogo e i negoziati possono portare al trasferimento pacifico dei poteri a un'autorità civile".