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Usa. Aborto, la Corte Suprema può revocare il suo «sì». Poi parola agli Stati

Elena Molinari, New York mercoledì 4 maggio 2022

Confronto duro tra abortisti e antiabortisti a Washington, dopo che si è sparsa la notizia dell'orientamento dei giudici della Corte suprema

«La Costituzione non fa alcun riferimento all’aborto, e nessun diritto del genere è implicitamente tutelato da alcuna disposizione costituzionale... Lungi dal portare a una soluzione nazionale della questione dell’aborto, (i casi) Roe e Casey hanno infiammato il dibattito e approfondito le divisioni. È tempo di dare ascolto alla Costituzione e restituire la questione dell’aborto ai rappresentanti eletti del popolo». Non è chiaro se la decisione della Corte Suprema Usa trapelata ieri sia definitiva. È autentica, come ha ammesso il giudice-capo, ma può ancora cambiare. Però il principio che contiene, espresso nell’opinione redatta dal giudice Samuel Alito e sottoscritta da altri quattro colleghi, è rivoluzionario.

Dopo 49 anni il tribunale costituzionale statunitense fa marcia indietro e sostiene che i due precedenti chiave sui quali la stessa Corte ha costruito la legalità dell’interruzione di gravidanza sono errati e vanno capovolti. Da anni varie leggi statali sfidano lo status quo, mettendone in dubbio la costituzionalità, e oggi sei dei nove giudici hanno espresso punti di vista legali o personali contrari all’aborto. Da mesi inoltre i gruppi di difesa della vita da un lato e quelli pro-choice dall’altro si preparano a un mondo "post Roe", mentre i singoli Stati si affrettano a riempire il vuoto che un’abolizione del precedente creerebbe. Eppure molti aspetti della decisione la rendono clamorosa.

La fuga di notizie. Il modo in cui è emersa, per cominciare. Per la prima volta, dall’abbottonatissima Corte Suprema è filtrata una sentenza con più di un mese di anticipo sulla sua pubblicazione. I nove togati prendono una decisione su un caso poco dopo la sua discussione in aula, nel corso dell’anno giudiziario, ma l’annuncio delle sentenze avviene sempre nei mesi di giugno e luglio. La soffiata ha sconvolto il mondo legale americano, dove si sospettano motivazioni politiche. Il leader dei repubblicani al Senato, Mitch McConnell, si è affrettato a puntare il dito contro «la sinistra estremista» che a suo dire vuole intimidire i giudici e ribaltare l’esercizio del diritto. Un timore condiviso da alcuni gruppi pro-life, che temono che il contraccolpo emotivo causato dalla notizia possa spingere alcuni dei cinque giudici che hanno firmato la sentenza vergata da Alito a cambiare idea. Intanto il presidente della Corte Suprema John Roberts (l’unico dei nove a non aver firmato né la bozza della maggioranza né il dissenso della minoranza) ha avviato un’indagine sulla fuga di notizie. I colpevoli potrebbero affrontare accuse penali.

La portata della decisione. Il tribunale si trovava a pronunciarsi su una legge del Mississippi che vieta l’interruzione di gravidanza dopo 15 settimane di gestazione, in contrasto con la sentenza Roe v Wade che permette l’aborto fino al momento della sopravvivenza del feto fuori dall’utero. Molti si aspettavano una decisione di compromesso, che portasse a una erosione graduale e limitata della legalità dell’aborto negli Usa. Invece la maggioranza della Corte ha risposto con un colpo di penna ben più drastico, sostenendo che il precedente Roe deve essere annullato, per motivi legali, ma non solo. Secondo Alito, infatti, la sentenza del 1973 aveva anche motivazioni razziali. Poiché la maggioranza delle interruzioni di gravidanza avviene tra i neri, ha scritto, la decisione aveva fin dal principio l’obiettivo di limitare la popolazione afroamericana.

Il vuoto legale a livello federale. Se confermata, la decisione porterebbe all’assenza di leggi nazionali sull’aborto, proibendolo a livello federale e passando la patata bollente ai singoli Stati. Di questi, 26 hanno già approvato o stanno discutendo leggi che rendono illegale o limitano severamente l’aborto. Negli altri 24 (perlopiù a controllo democratico) è cominciata invece una corsa nella direzione opposta per sancire esplicitamente la legalità dell’aborto. Il Congresso non è mai riuscito a trovare un’intesa in materia, ma appare determinato a provare ancora. Ieri il leader dei senatori democratici Chuck Schumer ha annunciato che intende portare in aula una legge che codifichi «il diritto all’aborto», in modo che tutti i senatori siano costretti a rivelare da che parte stanno.

L’opinione pubblica. Poche ore dopo la fuga di notizie da parte del sito Politico, centinaia di esponenti di gruppi pro-life e pro-choice si sono riuniti davanti alla Corte Suprema di Washington, dove manifestazioni di segno opposto sono continuate per tutta la giornata. La divisione riflette l’opinione pubblica Usa. Il 54% degli americani ritiene che la Corte Suprema dovrebbe confermare la sentenza Roe vs Wade, contro il 28% che invece vuole che venga ribaltata.

Joe Biden. Pur dicendosi personalmente contrario all’aborto, il presidente Usa da anni sostiene di considerarne giusta la legalizzazione. Ieri ha confermato la sua posizione: «Credo che il diritto della donna a scegliere sia fondamentale – ha detto –. Roe è stata la regola del nostro Paese per quasi 50 anni, la correttezza di base e la stabilità richiedono che non sia ribaltata».