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L'ANALISI. Spinte centrifughe scuotono la democrazia

Piergiorgio Pescali giovedì 27 novembre 2008
La serie di attentati che hanno sconvolto ieri sera Mumbai dimostra quanto fragile sia la Federazione indiana. Considerato come la più grande democrazia del Pianeta, il Paese in realtà non è mai riuscita a concretizzare il sogno di convivenza presentato dal Mahatma Gandhi ed è significativo il fatto che ben tre leader politici di prima grandezza, a partire dall’indipendenza, (lo stesso Mohandas, Indira e il figlio Rajiv), siano morti per mani assassine. Musulmani, sikh, induisti e ultimamente i cristiani sono, sempre più spesso, vittime di una società in cui tensioni politiche, sociali e religiose si sommano algebricamente sino a sfociare in autentici massacri di cui, quello di Mumbai, è solo l’ultimo di una lunga serie. Negli ultimi sei mesi più di cinquecento persone sono morte in una decina di atti terroristici e rivolte a sfondo religioso. E, secondo un rapporto del Partito Comunista dell’Orissa, tra agosto e settembre sarebbero stati massacrati altrettanti cristiani dai fanatici induisti, mentre cinquantamila sarebbero stati costretti ad abbandonare le loro case. Troppi sono i focolai ereditati dal colonialismo britannico e rimasti insoluti dalla partizione del 1947 con il Pakistan. A cominciare dai numerosi movimenti indipendentisti a sfondo maoista e naxalita presenti nelle regioni orientali dell’Assam, Manipur e nell’Orissa. Nelle regioni occidentali, invece, sono le organizzazioni islamiche ad organizzare la maggioranza degli attentati. Le sigle si rincorrono continuamente: Indian Mujahidin, al-Nasireen, Jamiat ul-Mujahedeen e, soprattutto, Lashkar-i-Taiba, protagonista dello spettacolare attacco al Parlamento indiano di qualche anno fa. Sono tutti gruppi che si coalizzano nella questione kashmira e che vedono nello scontro politico la loro principale fonte di combustibile. La paura dell’hindutva, la supremazia assoluta della cultura indù acclamata dal Bharatiya Janata Party, gioca un ruolo fondamentale tra i centosessanta milioni di musulmani indiani, che sentendosi minacciati, reagiscono giustificando la violenza dei "mujaheddin". Nonostante le recenti aperture diplomatiche tra New Delhi e Islamabad, secondo l’India i gruppi musulmani sarebbero foraggiati in armi e denaro dall’Isi, i servizi segreti pachistani; gli stessi che, sotto la guida di Benazir Bhutto, negli anni Novanta avevano contribuito a sostenere il movimento dei taleban. Basta andare nella polveriera Kashmir per rendersi conto di ciò che sta accadendo nella nazione: Parvina Ahanger, presidente dell’Associazione delle Persone Scomparse, accusa i militari indiani di fomentare l’hindutva: «Migliaia di persone sono state prelevate dai soldati soltanto perché sospettate di essere simpatizzanti di movimenti indipendentisti. Torture e esecuzioni sono all’ordine del giorno».Il fatto che oramai una fetta sempre più grande del miliardo e centomilioni di indiani creda nel fatto che il Paese sia davvero la più grande democrazia del mondo, rischia di portare in questa terra, culla di cultura e scienza, di fare sottovalutare le spinte centrifughe di intolleranza che potrebbe poi catalizzare violenze sempre più imprevedibili.Del resto, secondo la mitologia induista, quella in cui viviamo è la Kali Yuga, l’età in cui Shiva e Visnu dormono. Le bombe che stanno scoppiando in India rischiano di svegliarli ed in questo caso, ci avvertono i Purana, la distruzione del mondo sarebbe inevitabile. Non sarà così, ma la grande nazione deve sorvegliare ciò che si agita nel proprio grande ventre.