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La legge. Madrid, lo spagnolo non sarà più la prima lingua a scuola

Paola Del Vecchio, Madrid sabato 21 novembre 2020

Otto milioni di studenti intrappolati nell'ottava riforma educativa dall'inizio della democrazia senza consenso. Così “El Pais” titolava l'approvazione in Parlamento della «Ley Celáa», dal nome della ministra di educazione del governo progressista, passata per 177 voti – uno in più della maggioranza assoluta – fra i tumulti e grida di «libertà» delle destre. Sostituisce la Legge Vert, varata dal Partido Popular 7 anni fa, quando controllava in solitario la Camera. Fallito l'ennesimo tentativo di ampie intese, per superare l'asticella della maggioranza, la coalizione Psoe-Podemos si è alleata con il partito catalano Erc e i piccoli di sinistra. Si spiega così l'eliminazione dello spagnolo come lingua principale di insegnamento a favore delle lingue co-ufficiali come il catalano o il basco, uno dei punti più contestati della riforma. Assieme all'enfasi sulla scuola pubblica rispetto a quella «concertata» – a gestione privata con finanziamenti statali – per redistribuire meglio gli studenti svantaggiati, ora soprattutto (9 su 10 a basso reddito) a carico della prima. E al nuovo “declassamento” della religione, la cui offerta sarà obbligatoria, ma non sarà più materia di media scolastica.
Lasciando da parte il paradosso sottolineato dai critici che l'idioma parlato da oltre 480 milioni di persone nel mondo perda il primato nella terra di Cervantes, la riforma ha una portata limitata. Poiché la Corte costituzionale e la Corte Suprema hanno già risolto che lo spagnolo debba essere la lingua “veicolare” in almeno il 25% dell'orario delle lezioni in Catalogna, dove da anni funziona il sistema di «immersione linguistica», che ha imposto un bilinguismo sostanzialmente accettato. Di certo, però, rende più difficile la strada delle famiglie costrette a ricorrere ai tribunali perché la Generalitat compia le sentenze dell'alta Corte.
I centri concertati continueranno a essere finanziati da fondi pubblici, ma non potranno più incassare le rette dalle famiglie o attraverso fondazioni, come avviene oggi. E commissioni di garanzia veglieranno sul processo di ammissione, riducendo la capacità di decisione dei centri per scegliere gli alunni.
Imprtante l'opposizione frontale della comunità delle Escuelas Católicas, per la quale «si limita il diritto a scegliere l'educazione dei figli» di 4 milioni di famiglie e 3,3 milioni di studenti dei 9.300 centri concertati e privati. E un'offensiva è stata annunciata dal Pp nelle regioni in cui governa con Vox e Ciudadanos, per limitare «con ordinanze e decreti» l'applicazione della normativa. Anche i vescovi sono «disposti ad appoggiare le denunce di incostituzionalità» se la legge passerà così com'è anche al Senato, a maggioranza socialista. Nel Paese dove l'istruzione è terreno di battaglia ideologica dal franchismo, il tasso di abbandono scolastico è superiore al 17%, il peggiore della Ue. Tra le cause indicate dagli esperti non figurano le riforme 'de quita e pon', usa e getta, sfornate in 40 anni dai vari governi. Ma il sospetto è che non siano aliene ai risultati…