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Cristiani in Bulgaria. Sofia, governo costringe le suore alla fame

di Lucia Bellaspiga sabato 8 novembre 2008
Vittime, nel 2008, di un regime che " in teoria " non esiste più da vent'anni. Succede a Sofia, Bulgaria, dove a due decenni dal crollo dei "muri" un centinaio di suore vivono in povertà e senza un tetto perché il governo democratico si è "scordato" di restituire loro i beni espropriati 60 anni fa dal comunismo, e le istituzioni europee preposte al rispetto dei diritti umani latitano in perfetto stile pilatesco. Una storia kafkiana, se non fosse reale. Ma andiamo con ordine. È il 1920 quando, finita la prima guerra mondiale, le suore Eucaristine, cattoliche di rito bizantino, abbandonano la Macedonia e si rifugiano insieme ad altri 180mila profughi in Bulgaria, portando con sé decine di orfani. A Sofia fondano un nuovo orfanotrofio, alla costruzione del quale lavorano materialmente le suore stesse, operaie instancabili. Monsignor Angelo Roncalli (futuro Papa Giovanni XXIII) allora è Legato pontificio in Bulgaria e pone la prima pietra della costruzione, che man mano accoglie sempre più orfani e si dota di una cappella con preziose icone. Con l'avvento del comunismo, però, a partire dal 1944 le Eucaristine vengono progressivamente espropriate di tutti i loro beni, l'orfanotrofio diventa statale e ai ragazzi, sottoposti ai rigori del regime, è vietato tenere rapporti con le suore, le quali nel 1962 devono abbandonare anche il convento. «Hanno arrestato tutti i preti e i vescovi " testimonia suor Marta " poi ci hanno scacciate dall'orfanotrofio... Da allora siamo andate a vivere in una piccola casa che fu comprata all'epoca da monsignor Roncalli e lì siamo rimaste 35 anni, tra gravi difficoltà». Le religiose non rinunciarono comunque al loro apostolato e ad assistere i ragazzi: «Riunivamo i bambini in segreto, ma nella casetta c'erano apparecchi per spiare ogni cosa che facevamo e dicevamo, così alcune di noi finirono in galera». Una di queste, suor Serafina, è rimasta in prigione 5 anni con l'accusa di aver dato lezione ai bambini dei membri del Corpo diplomatico: molti genitori, infatti, che volevano preparare i figli alla prima Comunione, li inviavano di nascosto dalle suore. Le quali inoltre non mancavano di far visita anche ai sacerdoti reclusi: «Non potevamo parlare con loro né con le nostre sorelle carcerate, ci tenevano a metri di distanza, ma era il nostro modo di trasmettere la fede: noi pregavamo per loro e loro subivano in silenzio per il nostro bene».Un martirio portato con dignità, finché nel 1989 crolla il comunismo e le suore Eucaristine, molto anziane, riprendono alla luce del sole le loro opere di assistenza ai bisognosi costruendo alla periferia di Sofia un nuovo monastero e una chiesa dedicata al Giovanni XXIII ormai beato. È insieme a loro che nel 2002 Giovanni Paolo II a Sofia prega «ricordando quelle tra voi che hanno vissuto durante la dominazione comunista la lunga reclusione». Due anni prima, nel 2000, le stesse Eucaristine hanno anche costruito un ambulatorio "Giovanni Paolo II" che offre assistenza ai tanti poveri. Intanto i vari governi di Sofia hanno restituito man mano i beni agli ordini e alle confessioni religiose: tutti hanno riavuto il maltolto, ortodossi, musulmani... Tutti meno le Eucaristine, con pretesti appunto kafkiani: «I beni non possono essere restituiti perché le suore che oggi ne fanno richiesta non sono ritenute legittime eredi della proprietà all'atto della confisca», prova a sostenere una sentenza del 2001, approfittando dell'ovvio fatto che nel frattempo le vecchie suore erano defunte. «L'edificio di proprietà delle religiose è stato modificato nel tempo, non corrisponde più a quello che era stato confiscato», sostengono oggi le autorità, come se questo legittimasse la mancata restituzione. Le suore rispondono con centinaia di testimonianze e planimetrie, forti della verità. E ora attendono dal tribunale amministrativo di Sofia l'ultimo responso: se fosse negativo tutto sarebbe perduto. «Purtroppo la proprietà è vasta e si trova in pieno centro città, quindi ha un valore enorme e fa gola», dicono. «Quello che chiediamo è di far sapere agli italiani che in un Paese membro della Comunità europea come la Bulgaria è in atto una grave discriminazione. Chiediamo solidarietà a quanti hanno a cuore il rispetto dei diritti e la giustizia in Europa». La stessa Europa che, dopo le due interrogazioni presentate dall'onorevole Mario Mauro nel settembre 2007 alla Commissione e al Consiglio europeo, in entrambi i casi ha fatto sapere di «non essere competente in materia» e consigliato di rivolgersi «alla Corte europea dei diritti dell'uomo».