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ODISSEA. Sinai, nuovi orrori: 600 eritrei rapiti dai predoni

Paolo Lambruschi venerdì 16 settembre 2011

Torna il traffico di eritrei nel nord del Sinai. Nelle ultime settimane, complice la carestia nell’Africa orientale e la latitanza del  governo egiziano, è in ripresa con le consuete modalità, dal trattamento inumano alle sevizie giornaliere agli ostaggi per convincere i parenti, spesso rifugiati nel nostro paese o in Europa, a pagare un riscatto che va dai 28 mila ai 35 mila dollari.

Sarebbero almeno 600 gli africani - in maggioranza eritrei, ma anche etiopi e darfurini - attualmente in mano a 15 gruppi capitanati da Abu Abdallah, almeno 120 rapiti negli ultimi 15 giorni. I mercanti di carne possono guadagnare fino a 20 milioni di dollari sulla pelle di questi disperati. Dopo dieci mesi dalla campagna lanciata da queste colonne e la mobilitazione di alcune sigle della società civile italiana, nulla è dunque cambiato in quest’angolo di pianeta fuori controllo.

Ieri a Roma ancora una volta il sacerdote eritreo Mosè Zerai, presidente dell’Agenzia Habeshia, ha lanciato l’allarme, raccontando l’odissea di una donna appartenente a un gruppo rapito dai beduini nel deserto che separa l’Egitto da Israele. Un’altra fonte conferma e aggiunge un tassello al mosaico degli orrori di una terra di nessuno. Sette giorni fa una notizia dell’agenzia indipendente palestinese Ma’an rilanciava infatti la denuncia alla polizia egiziana di un eritreo sfuggito, nella zona di El Arish, ai trafficanti di organi. L’Organizzazione mondiale della Sanità nel 2010 ha definito l’Egitto uno dei cinque luoghi più caldi per questo immondo crimine. Il profugo ha dichiarato che la gang di predoni aveva ucciso altri ostaggi dopo avergli preso i soldi e asportato gli organi. I cadaveri, secondo il testimone, sono stati caricati su furgoni dai banditi per venire sepolti in fosse comuni lungo il confine. 

Già a fine agosto la Commissione internazionale sui rifugiati eritrei (Icer), che ha sede a New York, in un bollettino sconsigliava ai profughi dell’Asmara di recarsi in Sudan causa l’alto pericolo di rapimenti.

Torniamo a don Zerai, riferimento dei profughi eritrei in fuga da un paese segregato - la "Corea del nord africana" secondo il dipartimento di Stato Usa – il quale ha ricevuto una drammatica richiesta d’aiuto telefonica, simile alle centinaia dell’autunno scorso, da un’eritrea rapita e terrorizzata dalla continue percosse e torture con scariche elettriche alle quali è stata sottoposta insieme ai 53 compagni di viaggio rapiti e venduti dai Rashaida, trafficanti attivi in Eritrea, Sudan ed Egitto, a famiglie di beduini nel Sinai settentrionale. La donna ha raccontato di essere partita dal Sudan pagando ai Rashaida tremila dollari per giungere in Israele. «Ma una volta arrivati a Rafah – ha riferito don Mosè– sono stati venduti ad un altro gruppo che li ha segregati nel seminterrato di una palazzina e li tortura finché i parenti non sborseranno 28 mila dollari a testa».

Domenica scorsa è morto per le scariche elettriche un ragazzo di un villaggio vicino all’Asmara. Un altro è in fin di vita. Tra gli ostaggi c’è una donna incinta. Dieci giorni fa l’attivista e giornalista eritrea Meron Estefanos, rifugiata in Svezia, ha segnalato che un altro gruppo di 70 connazionali, tra cui quattro minori, provenienti dal Sudan è stato consegnato ai beduini. Il prezzo per liberarli è 35 mila dollari.

«È cambiato il regime in Egitto, – ha concluso don Zerai – ma non si ferma il traffico di esseri umani, anzi la situazione attuale sembra più favorevole per i predoni, padroni assoluti nella zona di confine del Sinai con Israele». Serve, oggi più che mai, un intervento urgente delle agenzie Onu e della Commissione europea».