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Ucraina. Si spara al confine della Transnistria. La Moldavia teme un «golpe bianco»

Nello Scavo, inviato a Yaski (confine Ucraina Transnistria) venerdì 6 maggio 2022

Il checkpoint di Kuchurgan, nel villaggio di Pavlovka, al confine della Transnistria con l’Ucraina dove è avvenuta la sparatoria

Armate di fucili da caccia le ronde popolari nello sperduto villaggio di Yaski hanno quattro priorità: reperire blocchi di cemento, tute mimetiche, benzina e scovare i sabotatori russi. Gli stessi che in Moldavia sono sospettati di voler orchestrare un “golpe bianco” a Chisinau. La guerra non era ancora arrivata fino al confine con la Transnistria, l’enclave separatista filorussa in territorio moldavo che per oltre 200 chilometri si affaccia sulla regione ucraina di Odessa. Ma i primi spari, mentre raggiungiamo la frontiera sul fiume, dicono che è solo questione di ore.

La sparatoria – non si sa bene tra chi – viene segnalata da alcuni contadini e strombazzata fra gli altri dal canale televisivo Tsv della regione separatista. I colpi sono stati sentiti vicino al check-point di Kuchurgan, che da alcuni giorni i militari ucraini hanno letteralmente murato costruendo una barriera con pesanti blocchi di cemento.

L’agenzia di stampa russa Ria Novosti ha citato «una fonte delle forze dell’ordine della Transnistria secondo cui lo scambio di colpi è avvenuto nel villaggio di Pavlovka, nell’area di un ponte ferroviario fatto saltare in aria il 4 marzo».

Alcuni giorni fa Kiev aveva offerto alla Moldavia la disponibilità a un blitz militare per riconquistare la Transnistria, strapparla ai filorussi e riconsegnarla al controllo di Chisinau. La presidente Maia Sandu ha ringraziato e rifiutato. Ma ora c’è proprio lei nel mirino. Dopo settimane di silenzio l’opposizione si è rifatta viva proprio nel giorno in cui l’Unione Europea promette fondi e armi. E chiede di cambiare cavallo. «Alla Repubblica di Moldavia è stata promessa assistenza finanziaria, sotto forma di sovvenzioni e prestiti, per un totale di circa 977 milioni di euro e circa 324 milioni di dollari solo dall’inizio di quest’anno. Si tratta di circa 1,33 miliardi. Ma i cittadini – si legge in un documento che passa di chat in chat – si domandano dove sono i soldi». Poi viene presentato un elenco di promesse che non sarebbero state mantenute. E sono tutti stanziamenti annunciati da singoli Paesi europei o dagli uffici di Bruxelles. Infine una domanda che è una rivendicazione politica: «Dov’è il miliardo promesso dai partner occidentali? ». Dalla lista delle promesse non mantenute è esclusa Mosca, che pure in Moldavia coltiva rapporti commerciali e politici, in particolare proprio con alcuni esponenti dell’opposizione. Nei giorni scorsi una fonte di intelligence europea aveva preconizzato queste mosse proprio ad Avvenire.

Lo scopo, conferma adesso, è quello di «indebolire il governo della presidente Maia Sandu, tenere fuori Usa e Ue dalla Moldavia e arrivare e sostituire i vertici politici». Una sorte di “golpe bianco”, nelle intenzioni senza l’uso delle armi, che potrebbe però sfuggire di mano. Sandu ha fiutato il pericolo non appena dalla Transnistria è arrivata notizia di attentati a strutture strategiche e centinaia di auto si sono messe in colonna per lasciare l’enclave e rifugiarsi in Moldavia. A Tiraspol ci sono almeno 1.500 soldati russi che fra le altre cose sorvegliano, dunque ne hanno il pieno controllo, uno dei più misteriosi e giganteschi arsenali sotterranei abbandonati dall’Unione Sovietica. «Gli incidenti che sono avvenuti nella regione della Transnistria alcuni giorni fa sono preoccupanti e i nostri accertamenti indicano che sono stati provocati dalle forze proguerra nella regione», ha detto ieri Maia Sandu durante la conferenza stampa a Chisinau insieme al presidente del Consiglio Europeo Charles Michel. «Nello stesso tempo – ha aggiunto –, abbiamo sentito minacce da ufficiali russi sulle loro intenzioni in Transnistria: queste dichiarazioni sono irresponsabili e preoccupanti ». Il 22 aprile, alla vigilia degli attentati, il generale Rustam Minnekaev aveva detto che i russofoni in Moldavia «vengono oppressi». Pretesto analogo a quello utilizzato da Putin per scatenare la guerra.

Nel mercato di Biliajvka, l’altro villaggio ucraino sul confine incandescente, il vecchio cosacco ci scruta spiluccando i baffoni grigi. Sorride sornione mentre mostra il tesserino da comandante in pensione dell’armata di Kiev.

I militari che arrivano da lì a poco sono molto sospettosi. «I giornalisti non vengono mai qui», dice il più giovane e serioso. Mentre una ragazza in divisa, l’unica a masticare un po’ d’inglese, con modi bonari cerca di convincerlo a lasciarci andare: «Dobbiamo ringraziarli per il loro lavoro», gli spiega. Ma lui vuole sbirciare i telefoni, controllare le foto, perfino i profili sui social network. «Non sono russi, vero?», chiede alla ragazza. Lei sorride: «Non vedi che sono italiani?».

E come sempre sarà il calcio a toglierci dagli impicci, e la reciproca ammirazione per l’ex calciatore Andrij Shevchenko. Alla fine i militari sorridono, e ci mandano via. Sono loro adesso ad avere fretta.

La Transnistria è appena dietro al perimetro alberato dei campi sul fiume. I rapporti di vicinato non sono mai stati buoni. Da trent’anni, però, la convivenza era improntata al non darsi fastidio. Ma oramai è chiaro che qualcuno stia spingendo perché i rancori sopiti diventino battaglia anche qui, tra vigne e campi di grano, trascinando la guerra appena più in là, fin dentro alla Moldavia, dopo l’Ucraina l’ultimo dei feudi ex sovietici ancora fuori dall’Unione Europea e dall’ombrello Nato. Alle 20 in punto, come ogni sera quando comincia il coprifuoco, nella regione di Odessa scatta l’allarme aereo. Le sirene suoneranno di nuovo in tutto il Paese. Gli attacchi ricominciano, e anche stavolta la gente scende nei bunker domandandosi se stamani ne uscirà.