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IL PERSONAGGIO. Seif Al Islam, il moderato divenuto tiranno

Federica Zoja mercoledì 23 febbraio 2011
Quando si dice «un nome, un destino segnato». Nel caso di Seif Al Islam (“la Spada dell’islam”) Gheddafi, secondogenito del colonnello Muammar, spregiudicatezza e brutalità di quella sciabola stanno emergendo ora, non tanto a difesa della religione musulmana quanto dello strapotere di un’oligarchia che ha tenuto in pugno la Libia per oltre 40 anni. Eppure, fino all’esplodere delle rivendicazioni popolari in Cirenaica, nessuno avrebbe potuto immaginare che sotto quel contegno anglosassone acquisito dall’ingegnere (laureato a Vienna) nei lunghi anni londinesi si nascondesse un tiranno di razza, «disposto a combattere fino all’ultima pallottola» contro gli insorti pur di non rinunciare alle proprie ambizioni. Così, invece, si è presentato Seif alla nazione libica nella tarda serata di domenica, sostituendosi alla figura usurata del padre e gettando via la maschera di riformatore indossata con sapienza. Non gli ha incrinato la voce evocare lo spettro di una guerra fratricida né mentire sul numero di vittime civili degli scontri. Del presidente della «Fondazione internazionale Gheddafi per la beneficenza e lo sviluppo» non è rimasto più niente: il delfino di Muammar Gheddafi, 38 anni, ha fatto dimenticare un brillante curriculum post-universitario di studi economico-politici alla London school of economics (il titolo della sua tesi, in questi frangenti, ha un suono sinistro: «Il ruolo della società civile nel processo di democratizzazione delle istituzioni di governo globale: dal “potere morbido” a processi decisionali collettivi?») e un bouquet di amici influenti, fra cui l’ex premier britannico Tony Blair. Seif ha dimostrato al mondo perché fra 7 figli maschi il padre dovrebbe passare a lui lo scettro. Non al fratello Hannibal (34), noto alle polizie di mezza Europa, e neanche a Saadi (37), ex calciatore di dubbie qualità. Fuori dai giochi anche Mohammed (40), uomo d’affari, e il giovane Seif El Arab (29), studente universitario, i concorrenti diretti sono Mutassim (36), stimato colonnello dell’esercito, e Khamis (30), comandante di una brigata scelta d’assalto. A Washington, Parigi, Londra, Roma, Seif è sempre piaciuto: grazie a lui, almeno così ci è stato raccontato, il colonnello ha deciso di risarcire le vittime di Lockerbie e rinunciare alle armi di distruzione di massa. A Seif si deve anche il rilascio del personale medico (5 infermiere bulgare e un medico palestinese) accusato di aver infettato con il virus dell’Hiv più di 400 bambini dell’ospedale di Benghasi. Nel 2008 l’annuncio di non voler succedere al padre, specificando che la leadership non può essere ereditata «come se fosse una fattoria». Ereditare un cimitero, invece, è tutta un’altra storia.