Mondo

La sommossa. Scontri negli Usa, scintilla in una polveriera di povertà ed emarginazione

Lucia Capuzzi domenica 31 maggio 2020

Una marcia di protesta a Long Beach

Il 6 marzo, Madonna ha postato un video di se stessa in cui, circondata da petali di rose, definiva il Covid the great equalizer, una versione statunitense de ’A livella del principe De Curtis. Quasi tre mesi dopo, la metafora della pandemia come “punto zero”, in cui ogni differenza è azzerata, si rivela, in modo inequivocabile, un mito. Già i dati preliminari avevano mo-strato, nelle scorse settimane, come la morte si sia accanita su alcune categorie sociali tuttora, negli Stati Uniti, associate al colore della pelle. Martedì, un rapporto dell’Apm Research Lab, dal suggestivo titolo The color of coronavirus, lo ha confermato.

Lo studio analizza l’89 per cento dei decessi – allora a quota 99mila – nei quaranta Stati che hanno fornito il profilo etnico delle vittime. Il tasso di mortalità dei neri colpiti dal virus è più del doppio – 2,4 volte – quello dei bianchi. Ed è 2.2 volte quello dei latinos e degli asiatici. In Kansas, le vittime afroameriane sono sette volte quelle bianche, Washington sei, in Michighan e Missouri cinque. Non è una novità, secondo Martin La Monica, al vertice del dipartimento del Lavoro durante l’Amministrazione di Bill Clinton. La catastrofi – sanitarie, naturali o economiche – acuiscono le diseguaglianze esistenti. Già un rapporto del Congresso del 2003 dimostrava che i neri avevano minore accesso a cure di alta qualità che, nel Paese, dipendendono direttamente dal tipo di assicurazione e, dunque, dal reddito.

L’ineguale distribuzione di quest’ultimo fra i vari gruppi etnici è cresciuta dopo la crisi del 2008. Attualmente una famiglia media afroamericana ha un decimo – secondo una recente ricerca del Brookings Institution – del reddito di un nucleo bianco. Alla luce di tale scenario, si comprende perché tuttora un bimbo nero abbia il 500 per cento di possibilità in più – parola di Harvard – di morire d’asma rispetto a un coetaneo d’altro colore. Se, finora, il Covid non ha fatto che ribadire, portandolo all’estremo, il gap sanitario esistente, nel futuro imminente sono le sue conseguenze economiche la principale minaccia per la “ black people”. L’incremento del tasso di disoccupazione – al 14,7 per cente – si riflette, ancora una volta, in modo diseguale fra le diverse componenti etniche. Fra i neri, ad esempio, è del 16,7 per cento. Una differenza poco vistosa, a prima vista.

«Nel breve periodo, il lockdown generale ha colpito tutti. Nel medio-lungo, però, a scomparire saranno soprattutto gli impieghi meno qualificati nel turismo, la ristorazione, il commercio, in cui i neri sono sovrarappresentati», sostiene Valerie Wilson, dell’Economic Policy Institute. Milioni rischiano di finire a ingrossare ulteriormente le fila dei poveri che, al 20 per cento sono neri, più del doppio dei bianchi. Nella liberale Minneapolis gli afroamericani poveri sono il 32 per cento, i bianchi il 6,5 per cento. Un filo rosso lega diseguaglianza sanitaria, economica e giudiziaria, ha detto il governatore di New York, Andy Cuomo. Con il Covid, il Black lives matter è entrato in corsia. E, alla prima scintilla, la rabbia è tornata nelle piazze. Del resto – sosteneva Martin Luther King – la rivola è il linguaggio di chi non viene ascoltato.