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Pakistan. «Schiavo» cristiano ucciso dal padrone musulmano

Stefano Vecchia martedì 25 luglio 2017

Una contesa, forse frutto di un malinteso, è costata la vita in Pakistan al cristiano Javed Masih, uno «schiavo del debito», condizione purtroppo comune a tanti tra le minoranze religiose. Parte di una famiglia numerosa e povera, il 32enne manovale che viveva e lavorava nell’area di Kamalpur, a Faisalabad, grande centro della provincia del Punjab, era stato costretto a mettersi alle dipendenze del musulmano Bilal Wahla per restituire il debito di 350mila rupie pachistane (equivalenti a 2.900 euro) contratto dalla sua famiglia.
Una condizione che lo costringeva a attività pericolose o degradanti, non solo a quelle concordate di pulizia della casa, di cura degli animali, di mungitura e distribuzione del latte. Come descritto dall’agenzia Asia News, Javed è diventato anche oggetto di accuse e di aggressioni che ne hanno causato la morte. Accusato di aver rubato una motocicletta del padrone, il cristiano è stato preso a bastonate. Trasportato in ospedale, è morto per le gravi torture subite.
Nel 2014 i genitori di Javed avevano contratto un debito e chiesto soldi al ricco possidente Wahla. Alla morte del padre, era stato stipulato l’accordo per cui Bilal Wahla avrebbe ridotto il debito di 7.000 rupie ogni mese in cambio di lavoro a tempo parziale. Con il tempo, però, le richieste erano cresciute e il debito mai azzerato. Il furto di una motocicletta aveva fatto infuriare il musulmano che aveva accusato il dipendente cristiano della sottrazione. Nonostante Javed abbia negato il suo coinvolgimento, lo scorso 18 luglio, è stato aggredito dal datore di lavoro. Ricoverato il giorno seguente in ospedale è deceduto per le conseguenze delle percosse.
La denuncia trasmessa a d AsiaNews da Imran Masih, fratello maggiore del defunto, è chiara: «Vogliamo giustizia. Noi siamo poveri e perciò la polizia si rifiuta di ascoltarci e di registrare la denuncia. I grandi possidenti poi stanno minacciando gravi conseguenze perché ci siamo opposti a qualsiasi compromesso».
Una situazione pressoché quotidiana in un Paese che fatica a garantire uguali diritti e possibilità alle proprie minoranze religiose e che utilizza la “legge anti-blasfemia” come strumento di controllo su una parte della sua popolazione.
Nonostante la casistica di abusi nel Paese sia vasta, la difficoltà a avere giustizia aggrava la situazione dei gruppi meno favoriti. Come nel caso di Javed Masih, i cui parenti, nonostante le pressioni, hanno cercato giustizia denunciando il delitto alla polizia, finora senza alcun risultato.