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Etiopia. Rocca: «L'80% della popolazione del Tigrai tagliata fuori dagli aiuti»

Paolo Lambruschi giovedì 11 febbraio 2021

Il presidente della Croce Rossa, Francesco Rocca, in Tigrai

Occorre aiutare subito il popolo del Tigrai, dove è in atto una grave crisi umanitaria e dove la maggior parte della gente è tagliata fuori da ogni genere di assistenza per le violenze dopo 100 giorni di guerra. Circa tre milioni di persone su sei milioni di abitanti hanno infatti perso casa, cibo, accesso ai servizi sanitari e alla scuola. L’allarme è stato lanciato ieri da Addis Abeba dal presidente della Federazione Internazionale delle Società della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa (Ifrc) e della Croce Rossa Italiana, Francesco Rocca, dopo una visita nella martoriata regione dell’Etiopia settentrionale, da novembre teatro di un conflitto tra l’esercito federale e le milizie alleate da una parte e le forze del partito di governo locale, il Fronte di liberazione del popolo tigrino (Tplf) deposto da due mesi.

«È stato uno dei viaggi più difficili. La situazione è estremamente preoccupante e inaccettabile – afferma Rocca – e le stime di Croce Rossa Etiopia indicano che oltre 2,6 milioni di persone nel Tigrai e nelle regioni limitrofe hanno urgente bisogno di aiuto. La comunità internazionale, insieme alle parti, deve fare di tutto per portare assistenza in una regione dove l’80% della popolazione resta inaccessibile agli aiuti per ragioni di sicurezza. La gente ha bisogno urgente di tutto. Abbiamo rilevato anche numerosi casi di malnutrizione severa tra i bambini».

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Quali sono le principali emergenze? Dal terreno il presidente della Croce Rossa denuncia «anzitutto la mancanza di medicinali e i danni a diverse strutture ospedaliere che rendono impossibile curare le persone malate e sfamare i pazienti. Due importanti strutture sanitarie che abbiamo visitato sono state saccheggiate e distrutte durante il conflitto e questo è inaccettabile perché coinvolge la società civile, i più vulnerabili». Poi Rocca individua, in linea con i rapporti delle organizzazioni umanitarie sul terreno ,la carenza di cibo e acqua potabile con le conseguenze immaginabili per la situazione igienico sanitaria. «Ripeto, l’accesso agli operatori umanitari e alle forniture di beni essenziali non è ancora garantito».

Rocca conferma che il numero delle vittime del conflitto resta sconosciuto mentre è in crescita, anche se meno evidente, il dramma degli sfollati dalle campagne. Un quadro disperante dove solo i centri urbani sono stati raggiunti dalle agenzie umanitarie internazionali mentre le aree rurali rimangono un inferno dal quale la gente se può fugge.

«Almeno 250.000 persone – continua il presidente dell’organismo internazionale che è stato volontario in Tigrai – risultano sfollate solo nel capoluogo Macallè, ma ce ne sono decine di migliaia anche nelle principali città come Adigrat, Axum e Scirè. A Macallè abbiamo visto gli sfollati alloggiare in aule scolastiche senza la possibilità di tenere le distanze per prevenire il Covid. Tra due settimane le scuole dovrebbero riaprire, non so dove andranno». Anche se la pandemia si aggiunge ai drammi di un’area colpita negli ultimi anni dai grandi sciami di locuste generati dai mutamenti climatici e alla guerra che ha devastato l’agricoltura e le città. Il governo etiope ha finora risposto alle critiche internazionali sui ritardi nell’ingresso degli aiuti segnalando che 1,4 tonnellate di generi di prima necessità stanno per essere distribuiti.

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«Il premier etiope Abiy Ahmed ci ha assicurato che presto tutta la popolazione sarà raggiunta. Credo che gli aiuti alimentari arriveranno, il dramma oggi è la mancanza di medicinali». La Croce Rossa internazionale, Croce Rossa etiope, Mezzaluna rossa sudanese e di Gibuti chiedono congiuntamente 27 milioni di franchi svizzeri per consentire a volontari e al personale di assistere 660 mila persone, tra le quali gli etiopi sfollati interni e coloro che sono fuggiti dalle violenze nei confinanti Sudan e Gibuti. Francesco Rocca assicura che la Croce Rossa nazionale farà la sua parte e lancia un appello alle parti in conflitto: «Lasciateci un accesso sicuro e illimitato e rispettate il nostro personale, i medici, le strutture sanitarie, gli operatori umanitari». Parole che dicono molto su questa guerra e sulle ferite profonde che andranno curate.

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