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Preghiera per la Siria. Ricchiuti: la Chiesa deve smuovere le coscienze di tutti

Vito Salinaro mercoledì 12 aprile 2017

«La preghiera è potente. Perché scava nelle coscienze. Mentre il digiuno in un certo senso ci imbarazza, perché non possiamo sentirci a nostro agio facendo le cose di tutti i giorni mentre ci sono fratelli affamati sulle cui teste piovono bombe. Noi stiamo con le vittime. Da cristiani rifiutiamo la violenza e serviamo la verità». È questo il senso dell’odierna giornata di digiuno e di preghiera per la Siria – promossa da Caritas italiana e Pax Christi – nelle parole dell’arcivescovo Giovanni Ricchiuti, presidente di Pax Christi Italia e, dal 2014, alla guida della diocesi pugliese di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti.

Con quali aspettative avete preso questa decisione?
Con la Caritas stiamo lavorando da anni, anche in tavoli internazionali, su vari temi. Tra questi, quello della non proliferazione delle armi, nucleari e non. L’iniziativa di oggi, che si inserisce nel solco tracciato da papa Francesco con la veglia di preghiera per la Siria, il Medio Oriente e il mondo intero da lui indetta nel settembre 2013, vuole essere anche un momento di controinformazione rispetto a quanto ci viene propinato sulla questione siriana. Noi non siamo politologi né strateghi militari ma uomini e donne profondamente inseriti nella Chiesa. E siamo convinti che urga una spinta della Chiesa che si faccia riflessione per smuovere le coscienze di chi è negativamente coinvolto nella vicenda siriana. La guerra è un crimine, ci ha ripetuto il Papa, e non può che generare altri crimini, come è successo in occasione dei fatti di Idlib. E come accade sempre, quando il commercio delle armi è fiorente.

A proposito di Idlib. Difficile non pensare a reazioni di fronte alla barbarie che ha coinvolto così tanti bambi-
ni. Il nostro presidente del Consiglio, riferendosi al lancio di missili ordinato da Donald Trump, ha parlato di «risposta motivata a un crimine di guerra». Che ne pensa?
Non condivido le parole del presidente Gentiloni. Perché così facendo si giustifica la logica della violenza che risponde alla violenza. Ma con quali risultati?

Ammetterà che non si può neanche restare impassibili…

Certo, ma il problema è individuare i responsabili. Tutti però si rimpallano le responsabilità. Se vi fosse un organismo internazionale capace di riconoscere e attribuire precise colpe, sarei il primo a dire che chi si è macchiato di queste atrocità dovrebbe comparire davanti a un tribunale internazionale. Ma forse non sapremo mai cosa c’è dietro questa vicenda.

Quale riferimento comune può allora essere accolto, in Siria e in altri contesti di crisi internazionali, anche da parti politiche distanti?
Nel mio piccolo, non mi stancherò mai di affermare che a guidarci devono essere le parole pronunciate il primo gennaio dal Papa in occasione della Giornata della pace: la nonviolenza sia stile per una politica di pace. Insomma, la nonviolenza sia radice, sia fondamento di ogni agire politico. In una sorta di tavolo parallelo a quello diplomatico del G7 che si tiene a Lucca, Pax Christi e altre organizzazioni denunciano che con le armi non si va da nessuna parte. E neanche perseguendo gli interessi legati allo sfruttamento petrolifero e a quelli che continuano a creare disparità sociali. È risvegliando coscienze assopite che si fanno passi avanti. La storia poi giudicherà chi al bene comune antepone interessi di altra natura. Non parlo solo di Siria. Ma di Congo, Sud Sudan, Yemen. I focolai sono ovunque, fino alla Corea del Nord.