Mondo

INTERVISTA. L'arcivescovo Lahham: «Qui la Chiesa soffre, ma la fede è forte»

Francesco Riccardi martedì 11 febbraio 2014
«La Chiesa in Medio Oriente ci sarà sempre. Sarà più o meno sofferente, ma ci sarà. Il Signore non permetterà che la sua terra divenga solo un museo». L’ar­civescovo Maroun Lahham, vicario del Patriarcato di Gerusalemme, è il pa­store dell’intera Giordania, cioè di cir­ca 100mila cattolici di rito latino, la metà dei cristiani presenti nel regno hashemita. Lo abbiamo intervistato a margine di un incontro organizzato dal tour operator italiano Brevivet.Qual è la condizione dei cristiani in Giordania?Siamo fortunati, soprattutto se ci pa­ragoniamo ai nostri fratelli in Iraq, E­gitto o adesso in Siria. Siamo solo il 3% della popolazione, eravamo il 10% ne­gli anni ’50, ma in numero assoluto in realtà siamo cresciuti. È che i musul­mani, per numero di figli e per immi­grazione, crescono maggiormente. Vi­viamo bene e abbiamo libertà di cul­to. Ci manca solo la libertà di co­scienza. Nel Paese ci sono 35 parroc­chie, abbiamo una quarantina di sa­cerdoti e, ringraziando Dio, ogni an­no abbiamo 8-9 nuove ordinazioni di preti.Ma la convivenza con i musulmani è sempre pacifica? C’è una vera inte­grazione?Stiamo bene insieme. La convivenza è ottima, i ragazzi musulmani e cri­stiani stanno sempre insieme, a co­minciare dalla scuola. Anche nelle no­stre scuole cattoliche abbiamo circa il 40% di iscritti che sono musulmani. E quando c’è l’ora di religione, loro pos­sono seguire le lezioni sull’islam (nel­le scuole statali, invece, non c’è l’inse­gnamento della religione cristiana). Tutto però si ferma e si divide, in qual­che modo, al momento del matrimo­nio. I matrimoni misti sono pochissi­mi. E al 90% non funzionano. Perciò abbiamo deciso di non benedire i ma­trimoni fra musulmani e cristiani (nor­malmente si tratta di uomini musul­mani che sposano donne cristiane, perché per sposare donne musulma­ne all’uomo è sempre richiesta la con­versione all’islam). Ci sono poi le preoccupazioni per il pericolo jihadi­sta, in particolare esterno. Non siamo del tutto al riparo.Ora avete la sfida della forte presen­za di profughi dalla Siria, che sono in grandissima parte musulmani, co­me la affrontate?Accogliendo tutti e cercando, attra­verso la nostra Caritas – a sua volta so­stenuta da altre Caritas di Paesi occi­dentali come l’Italia – e le nostre par­rocchie di far fronte ai loro bisogni. Materiali anzitutto: cibo, case, riscal­damento per l’inverno. Ma anche as­sistenza sanitaria e soprattutto scuo­la pomeridiana per i ragazzi.A maggio riceverete la visita del Pa­pa. Come vi state preparando?Siamo al lavoro per prepararci al me­glio. Il Papa starà solo 6 ore in Giorda­nia: oltre agli incontri con le autorità civili e religiose, celebrerà la Messa nel­lo stadio di Amman e poi avrà un in­contro con gli ammalati, i disabili e gli orfani. Speriamo di rispondere bene alle sensibilità di papa Francesco.E le autorità civili come hanno reagito alla notizia della visita?Sono stati contentissime. La Giorda­nia è orgogliosa che la prima visita fuo­ri dall’Italia del Papa sarà nel nostro Paese (quella in Brasile era già stata decisa da Benedetto XVI) e che poi an­drà in Terra Santa. Anche il Re, l’ha­shemita Abdullah II, mi ha detto: «Fa­te tutto come vuole il Papa, in piena li­bertà. A una sola condizione: deve di­re una Messa per i cristiani di Giorda­nia».Da qui, dall’Oriente, come vedete noi cristiani d’Occidente?Devo dire che per noi l’Occidente è un modello di democrazia, di sviluppo, di libertà. Ma non più di fede. Sembra che da voi la parola «Dio» sia stata qua­si cancellata. Forse sarà perché noi a­rabi la pronunciamo sempre, ma chi viene da voi resta scandalizzato da questa assenza. E più ancora dal di­sgregarsi delle famiglie.