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Reportage dal Siraq. Sulle rovine del Daesh non cresce l’erba di pace

Luca Foschi lunedì 27 agosto 2018

Una suora tra le macerie di Qaraqosh. Nella città irachena sono le istituzioni religiose a tessere gli esili fili della società civile ora che lo Stato è assente

La striscia d’asfalto incastonata nella polvere supera il confine incerto del Kurdistan, infila i check-point iracheni e piega a sud dove due miliziani emergono dalla garitta, sulla quale sventolano le bandiere di Hash al-Shaabi, l’esercito paramilitare sciita. Poi è la piana di Ninive liberata dallo Stato Islamico, la lunga sequenza della distruzione: università e scuole annichilite dai bombardamenti aerei, i campanili abbattuti dalla furia iconoclasta, il piazzale della cattedrale caldea di Qaraqosh trasformato in campo da tiro, le sue volte annerite dal fumo, le statue dei santi come piattelli spezzati e le colonne diventate angoli di periferia per scarabocchiare con i nomi di guerra l’utopia efferata del Califfato.

«La situazione economica è peggiorata rispetto ai primi mesi seguiti alla liberazione. Il governo a Baghdad non ha fatto niente per noi. Manca il lavoro e molte famiglie esitano a tornare dai campi in Kurdistan. Pensano che qui non ci sia futuro», spiega padre Ammar, parroco di Qaraqosh. Sono le istituzioni religiose a tessere gli esili fili dell’amministrazione e della società civile ora che lo Stato è assente, inghiottito nelle sabbie mobili delle elezioni di maggio. I partiti sciiti, sunniti e curdi, espressioni di memorie e interessi divergenti, stentano a coagularsi in una maggioranza di governo mentre il popolo in piazza reclama servizi di base e lavoro, Da “para-Stato” Daesh è regredito alla struttura molecolare e sfuggente delle origini, sopravvive grazie al crimine e al terrore. Dopo il mandato britannico, la monarchia hashemita, l’indipendenza, la dittatura Baath e il fallito tentativo demiurgico americano, l’Iraq continua a essere uno spazio politico eterogeneo e violento.

La Chiesa ortodossa ha chiesto ai suoi fedeli di restare nei campi profughi. Non esistono le condizioni di sicurezza per un sereno ritorno alle case di Qaraqosh e Bartella. Gli Stati europei e le Ong finanziano e operano con generosità, ma non è abbastanza perché la popolazione possa risollevarsi sotto il peso di caos e macerie. Così le Chiese evangeliche statunitensi si manifestano portando in dono copiosi contributi e proposte di ripopolamento per far rifiorire la terra inaridita dal Daesh. La fragilità delle minoranze cristiane, yazide e shabak ha attirato capitali sciiti che procedono con insistenza all’acquisto di terre: operazione ricondotta da alcuni analisti al tentativo di creare un corridoio che unisca Teheran, Baghdad, Damasco e Dahieh, la periferia di Beirut dove governa Hezbollah. Mentre i contadini mormorano, per paura di ritorsioni, il ministero de- gli Interni ha replicato autorizzando il trasferimento di 450 famiglie sunnite a Hamdaniya, Bartella, Bashiqa e Tel Kayf.

Il Consiglio Provinciale di Ninive ha fatto appello alle sue prerogative federali per respingere il provvedimento. Difficile dire se avrà i mezzi per implementare la decisione. Le ingegnerie demografiche sono l’eterna declinazione di una lotta per il dominio in uno Stato strutturalmente minacciato da dittatura o dissoluzione. Sperduta negli sterminati luoghi della geopolitica, la comunità cristiana di Ninive combatte l’incubo dell’irrilevanza con il lavoro e la parola. Presto La voce della Pace, radio di Qaraqosh razziata durante l’occupazione, raggiungerà di nuovo i piccoli villaggi sparsi per la pianura. Nella “Casa delle donne” la Ong italiana Focsiv supporta la preparazione di 60 donne ai mestieri della sartoria, della parrucchiera, della ristorazione, all’uso dell’informatica e dell’inglese. Sono cristiane, sciite, shabak, e nel dialogo dei laboratori erodono emancipandosi la tradizione patriarcale e creano l’armonia disprezzata nei palazzi del potere. Dopo i corsi Focsiv finanzia la nascita di piccole attività commerciali. «Le differenze culturali rimangono», racconta Merna Raed, direttrice della Casa. «Ma vanno perfettamente d’accordo. Unite dalla voglia di libertà, e dalla paura». Presto nascerà il ristorante di Atira. Gli uomini della famiglia trasportano nelle scatole le ultime attrezzature. Manca solo un cartello. A sorprendere gli automobilisti in corsa lungo i checkpoint e la desolazione della strada verso Qaraqosh.