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Il leader indipendentista catalano. Puidgemont, fermo-lampo ad Alghero

Paola Del Vecchio, Madrid sabato 25 settembre 2021

Puigdemont era stato presidente della Catalogna per un anno, a partire dal 2016, prima di scappare in Belgio per evitare di essere processato in Spagna con l’accusa di sedizione e ribellione.

«El presidente mai va sol», il presidente non viaggia mai solo, e sapeva che c’era la polizia ad aspettarlo all’atterraggio ad Alghero. Nel suo entourage confermano che l’ex “president” della Generalitat, Carles Puigdemont, era stato informato del rischio prima ancora di salire sul volo che l’ha portato da Bruxelles ad Alghero, la “piccola patria” catalana, dove avrebbe dovuto essere ospite d’onore al festival della cultura folkloristica. Sapeva quindi tutto, come dei possibili effetti dirompenti sul «dialogo» in corso tra Madrid e Barcellona. La macchina della giustizia però non si ferma in Spagna come in Europa, apparentemente ignara delle conseguenze sulla politica. Dalla sua fuga nel 2017 in Belgio, all’indomani del referendum illegale e della dichiarazione unilaterale di indipendenza, Puigdemont è reclamato da quella iberica per i reati di sedizione e malversazione. Per il suo difensore, Gonzalo Boye, il mandato di cattura dell’ottobre 2019 del giudice dell’Audiencia Nacional Pablo Llarena – dopo la sentenza di condanna per altri 8 leader indipendentisti, poi indultati – era sospeso. Per cui l’arresto «è illegale». Mentre fonti dell’alto tribunale assicurano che «non è mai stato annullato».

Nel marzo scorso il Parlamento Europeo aveva deciso di ritirare l’immunità al leader di Junts e a due ex assessori del suo governo, Toni Comin e Clara Posatí, riparati come lui all’estero e poi eletti eurodeputati. E il 30 luglio scorso Il Tribunale generale della Ue aveva confermato la revoca dell’immunità, sostenendo che Puigdemont non corresse il rischio di arresto nei suoi spostamenti da Bruxelles a Strasburgo. Per cui aveva respinto la richiesta di annullare in via cautelare il mandato di arresto, formulata dalla difesa. Nel frattempo, Puigdemont ha viaggiato in Belgio, Germania, a Parigi la scorsa settimana, passando indenne i controlli di polizia. Fino a giovedì sera, quando con il fermo durante il suo «viaggio privato», la gatta da pelare è passata nelle mani della giustizia italiana.

La giudice Plinia Azzena della Corte di Appello di Sassari, che ha interrogato ieri Puigdemont «per via telematica», lo ha lasciato libero – come chiesto dalla Procura – in attesa della prima udienza sulla richiesta di estradizione, fissata per il 4 ottobre. Questa è sollecitata ieri stesso dal giudice Llarena nell’ordine di cattura inviato al tribunale sardo attraverso il rappresentante in Spagna di Eurojust. «Puigdemont può muoversi liberamente, perché se avessero voluto potevano imporgli l’obbligo di dimora, ma non è stato fatto», ha spiegato il suo legale italiano, Agostinangelo Marras. «È una nuova vittoria giudiziaria. La Spagna non si stanca di rendersi ridicola», il commento trionfale del leader secessionista non appena tornato in libertà. Si è impegnato a non lasciare il territorio italiano. Ma la questione è spinosa, poiché già nel 2018 l’estradizione di Puigdemont dalla Germania era stata respinta dal tribunale di Schleleswig-Holstein per il reato di ribellione – il più grave di cui è accusato – non riconosciuto dalla giurisdizione del Land dov’era stato fermato.

Reuters

Palazzo Chigi vuole evitare un caso diplomatico come già nella vicenda tedesca, soprattutto dopo che il fermo ha provocato un piccolo terremoto politico, poiché nessuno dei ministeri coinvolti – Giustizia, Interni, Difesa – pare avesse notizie dell’arrivo dell’ex president. Com’era prevedibile, la nuova sfida giudiziaria del capo del Consiglio della Repubblica catalana all’estero ha avuto l’effetto immediato di un autentico sisma in Spagna, che fa traballare il fragile tavolo di dialogo avviato dall’attuale presidente della Genealitat, Pere Aragones, di Esquerra Repubblicana (Erc), con il governo di Pedro Sánchez, e dal quale Puigdemont con Junts si era autoescluso. E minaccia la trattativa in corso sulla Finanziaria, per la quale il voto di Erc è chiave. Nonostante la profonda divisione, i soci nell’esecutivo catalano hanno fatto quadrato contro «la repressione dello Stato» e rinnovato la richiesta di amnistia e del referendum autodeterminazione, che era stata tenuta in principio fuori dalle trattative. Aragones, che sarà oggi in Sardegna per stare «al fianco di Puigdemont» ha avvisato che il fermo «non aiuta il processo di dialogo», su cui aveva scommesso in prima persona assieme al premier Pedro Sánchez, che vede ora complicata la sua strategia di distensione. Fra l’incudine politica e il martello giudiziario, Sánchez, dopo aver espresso «rispetto a tutti i procedimenti giudiziari» in Spagna e in Europa, ha insistito sul fatto che «oggi più che mai è importante rivendicare il dialogo, ancora più necessario».