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La testimonianza. «Io, profugo dal Congo alla Grecia, ho vissuto l'orrore dei campi»

Dorella Cianci giovedì 9 dicembre 2021

Migranti a Moria, sull'isola di Lesbo, in Grecia

Si continua a scappare, da sempre, da secoli, per mettere in salvo la propria vita e quella dei propri figli. Questo non cambierà fino a quando ci saranno luoghi pericolosi lungo tutto il Pianeta, o meglio luoghi resi pericolosi da chi si arricchisce con la paura, con la violenza e con le armi.

Accade anche in Congo.

L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) e l’Ufficio del Primo Ministro dell’Uganda, responsabile di numerose strutture di transito per richiedenti asilo lungo la frontiera congolese, stanno rispondendo alla nuova emergenza di violenza e crisi umanitaria, in coordinamento con le autorità distrettuali. L’Unhcr ha già trasferito circa 500 richiedenti asilo presso il vicino centro di transito di Nyakabande, capace di accogliere fino a 1.500 persone. Ai richiedenti asilo congolesi accolti nella struttura di Nyakabande, dopo essere sottoposti a test anti Covid-19 e procedure di registrazione, sono assicurati acqua, cibo, coperte. Anche numerosi partner umanitari stanno garantendo assistenza: Care and Assistance for Forced Migrants, Medical Teams International, Save the Children, Croce Rossa ugandese e World Food Programme. Nonostante le frontiere ugandesi siano chiuse per effetto delle restrizioni pandemiche, il governo sta facendo un’eccezione per motivi umanitari.​

Mabili M. (30 anni) tutto questo lo sa bene e ora che è salvo, da Parigi può raccontare la sua storia e il suo punto di vista. Mabili credeva in un viaggio di sola andata, ma insieme ai trafficanti di uomini, approdando, a suo dire, un po’ per caso, su un’isola greca, ha trovato una situazione assurda, diversa da quella congolese, improntata alla disumanità. Com’è stato l’arrivo nel campo di Moria?

Non so bene neanche io come sono approdato lì. Posso solo dire che erano viaggi ‘pilotati’ da persone senza scrupoli. Sono stato in alcuni campi e situazioni piuttosto orribili, ho trascorso cinque anni a sfuggire al reclutamento armato nelle zone di crisi del mio Paese, ma devo dire che Moria è stato il luogo in cui ho visto il più alto livello di sofferenza. Abbiamo passato lo scorso inverno in tenda, abbiamo sofferto molto il freddo. Avevo solo una giacca, niente di più. Ho trascorso l'inverno del 2019 a Moria e l'inverno del 2020, poco prima di mettermi in salvo, a Kara Tepe. Già prima del Covid la situazione del campo, come raccontato da molti, era allucinante. Nel periodo in cui sono stato lì, si è registrata la più alta percentuale di suicidi di minori mai avvenuta in un campo. Un uomo della mia età si è tolto la vita bevendo candeggina. Eppure anche quei campi dell’orrore son stati necessari per allontanarmi da una vita violenta, che non volevo e che non faceva parte dei costumi della mia famiglia, formatasi nelle idee e nell’istruzione in villaggi con missionari cattolici.

E ora a che punto è la sua situazione di accoglienza in Francia?

Non ho ancora terminato tutte le procedure per la mia domanda di asilo qui, intanto sono salvo; io sì, ma tanti, tantissimi no. Ricordo un gommone arrivato in Grecia prima della mia nuova fuga attraverso la cosiddetta “rotta balcanica”. Le persone a bordo sono state poste in quarantena per due settimane. Hanno subito i colloqui per l'asilo, hanno patito il freddo insieme a molti altri disagi, poi sono stati tutti respinti. Respinti vuol dire tornare nel posto in cui sei in pericolo, peraltro senza avere neanche più del denaro da parte. La maggior parte di quelle persone respinte, prima che fuggissi ancora, erano cittadini congolesi.

Papa Francesco, proprio in questi giorni, durante il viaggio in Grecia, ha parlato della migrazione forzata, ribadendo che non è un'abitudine turistica. Ha detto: “Il peccato che abbiamo dentro ci spinge a pensare questo: 'Povera gente, povera gente'. Col 'povera gente', cancelliamo tutto. È invece la sofferenza di fratelli e sorelle che non possiamo tacere. Coloro che hanno dato tutto quello che avevano per salire su un barcone di notte, senza sapere se arriveranno. E poi, in tanti, finiti nei lager, posti di confinamento e di schiavitù. Questa è la storia di questa civiltà sviluppata che noi chiamiamo Occidente”. Ha sentito queste parole?

Da cattolico lo seguo molto, così come lo ascoltano o lo seguono tanti non cattolici, anche qui in Francia, da quel che sto imparando a notare. Papa Francesco ha una visione del mondo che manca a tutti i potenti della Terra, i quali però stanno tentando di imparare da lui. Sta cercando davvero di risvegliare tanti cuori… Quando ho sentito le sue parole, ho pensato ai giorni in cui i miliziani del mio Paese hanno provocato la morte di almeno 293 civili, tra cui 63 donne e 24 bambini. Il 94% delle morti documentate, almeno di quelle di cui son riuscito a sapere fino ad agosto, si è verificato nelle tormentate province del Nord Kivu e dell'Ituri. Da maggio queste zone sono sottoposte a misure straordinarie di stato d'assedio per tentare di reprimere i gruppi armati, che si aggirano lì da almeno un quarto di secolo.

Quello che destabilizza e minaccia davvero il continente africano è il traffico di armi, così come ha detto anche il Pontefice, con toni d’accusa verso chi fornisce queste armi e poi finge compassione. Lei, scampato al reclutamento della violenza, che può dirci di questo mercato criminale?

Sono scappato verso la Grecia a causa delle armi, a causa dei gruppi che volevano mettermele in mano, mentre io sogno di fare l’insegnante, come sa la mia mamma, che è là. E’ proprio così: la ferita del nostro Continente, e in particolare del Congo che conosco bene, è il commercio illecito di armi di piccolo calibro, che in parte rinvigorisce la persistenza delle guerre in tutto il continente. Attualmente, in Africa circolano circa 30 milioni di armi da fuoco. Il trasferimento di armi tra Paesi può essere collegato all'aumento dei conflitti nelle regioni confinanti da parte degli stessi gruppi armati, che spesso sembrano spostarsi proprio lungo il flusso di armi. Il conflitto attualmente in corso nella Repubblica Democratica del Congo e il conflitto in corso in Libia hanno aiutato la proliferazione e l'acquisizione di armi leggere nella regione

Akpamagbo, direttore nazionale di Save the Children nella Repubblica democratica del Congo, ha dichiarato di deplorare fermamente il crescente spostamento delle popolazioni a causa dell'insicurezza. Save the Children, attraverso la sua risposta umanitaria, aiuta le popolazioni sfollate all'interno del Congo, anche nelle aree di confine e nei paesi vicini. Ha avuto contatti con loro?

Sì certo, tanto devono la loro salvezza, o almeno tentativi di salvezza, a questi gruppi umanitari. Oggi, però, vorrei evidenziare una cosa che mi sta a cuore: è urgente prestare particolare attenzione alla situazione dei bambini, che sono le prime vere vittime. I piani di risposta dovrebbero essere rivisti e i finanziamenti dovrebbero essere resi disponibili in tempi più brevi, in modo che durante queste situazioni, i bambini continuino a essere protetti e ad avere accesso almeno all'istruzione di base. Questo è stato detto fermamente da molte organizzazioni umanitarie. Vorrei aggiungere la mia voce; io stesso continuerò, spero qui da Parigi, a prepararmi per diventare un maestro, provando a lasciar affievolire le immagini di quelle notti nel mare e di quell’arrivo in una Grecia che non è quella che amate voi tutti. Quando avrò dimenticato, sarò pronto a tornare indietro, ma ci vorrà molto tempo, soprattutto perché, con le mie denunce sui trafficanti di armi, per quel che so, non mi sento al sicuro in nessun luogo.