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Invisibili. Papa Francesco: il mondo non può ignorare 254 milioni di sfollati del clima

Lucia Capuzzi martedì 30 marzo 2021

I terribili effetti del ciclone «Idai» nel 2019 a Beira, sulla costa del Mozambico

«Per tre mesi siamo stati alloggiati in una scuola. Poi ci hanno assegnato un pezzo di terra ma è lontano dalla città e l’elettricità non arriva». Fino all’aprile 2019, Maria Madalena Issau, 32 anni e cinque figli, viveva in una casupola a ridosso del porto, dove vendeva pesce. «Poi Idai mi ha portato via tutto», ha raccontato la donna di Beira colpita, due anni fa, dal più forte ciclone dell’Africa australe. «E da allora ce ne sono stati altri tre. L’ultimo, il 23 gennaio», ha aggiunto il vescovo della città nel centro del Mozambico, Claudio Dalla Zuanna, intervenuto anche lui via Zoom alla presentazione, nella Sala stampa vaticana, degli Orientamenti pastorali sugli sfollati climatici, realizzati dalla sezione Migranti e rifugiati, settore Ecologia integrale del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale.

I cicloni sono una costante in buona parte del mondo. Ma frequenza e intensità stanno aumentando. E il Mozambico ne è un esempio eloquente.

Colpa del surriscaldamento del tratto di Oceano che separa le sue coste dal Madagascar, dove i cicloni si “ricaricano” di potenza. E dell’aumento esponenziale della deforestazione nell’ultimo decennio. «Il cambiamento climatico non è una minaccia ipotetica – ha sottolineato monsignor Dalla Zuanna –. È un dramma che distrugge la vita di milioni di esseri umani». Costringendoli, spesso, a scappare all’interno o al di fuori delle frontiere. Profughi di una tragedia invisibile e, per questo, invisibili anch’essi. Da qui l’invito ad aprire gli occhi.

«Propongo di riprendere la famosa frase pronunciata da Amleto, “essere o non essere”, e di trasformarla in “vedere o non vedere, questo è il problema!” Tutto inizia dal nostro vedere, sì dal mio e dal tuo», scrive papa Francesco nell’introduzione agli Orientamenti. «Solo nel 2019, 24,9 milioni di persone hanno abbandonato le loro case a causa dei disastri naturali. Quasi il triplo rispetto alle persone fuggite per la violenza. Nella prima metà del 2020, ci sono stati 14,6 milioni di nuovi spostamenti, di cui 9,8 associati a catastrofi ambientali e 4,8 milioni associati ai conflitti», ha spiegato padre Joshtrom Isaac Kureethadam, officiale del Dicastero. Tra il 2008 e il 2018, sono stati registrati quasi 254 milioni di migranti ambientali. Una quota tra tre e dieci volte superiore rispetto ai profughi dei conflitti e destinata ad aumentare secondo Banca mondiale. Eppure, a differenza degli sfollati di guerra, quelli climatici hanno una protezione internazionale limitata, frammentaria e non sempre legalmente vincolante, in quanto non esplicitamente riconosciuti dalla Convenzione sui rifugiati del 1951.

Allora la questione era marginale. «Ora le leggi devono cambiare per adeguarsi alle sfide attuali. E quella degli sfollati climatici è urgente», ha dichiarato il cardinale Micheal Czerny, sottosegretario della sezione Migranti e rifugiati del Dicastero. «Vedere o non vedere è l’interrogativo che ci porta a rispondere, operando insieme», scrive ancora Francesco. Gli Orientamenti – ha detto padre Fabio Baggio, sottosegretario della Sezione Migranti e rifugiati del Dicastero – vogliono indicare una rotta. Due le grandi direttrici. Primo l’appello forte, in vista del vertice climatico Onu Cop26 di novembre, agli Stati affinché taglino delle emissioni.

Secondo, l’impegno nel costruire reti e alleanze per costruire l’ecologia integrale e aiutare le vittime della crisi ambientale. Un’utopia possibile, come dimostra l’esempio virtuoso del Movimento cattolico climatico mondiale illustrato da Cecilia Dall’Oglio.