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Pakistan. Adesso la religione va denunciata sui documenti

Stefano Vecchia mercoledì 14 marzo 2018

Per le minoranze è stato un “pugno nello stomaco”. L’Alta corte di Islamabad ha confermato l’obbligo per tutti i cittadini di comunicare la religione di appartenenza quando richiedono documenti d’identità. Non si tratta di una semplice “misura amministrativa”. Gli attivisti per i diritti umani sono preoccupati: da questa decisione temono ulteriori difficoltà per gli esponenti di confessioni minoritarie. Particolarmente a rischio gli Ahmadi, un gruppo di origine islamica degli Ahmadi, benché i sunniti ne contestino l’appartenenza all’islam. Per questi ultimi, gli Ahmadi sono rinnegati e per tale ragione li perseguitano.

Per sopravvivere, molti nascondono o almeno non palesano apertamente la propria fede in modo non rischiare l’accusa di blasfemia. Ora, però, la pubblica dichiarazione sulla carta d’identità li espone ad abusi e ritorsioni. In base alla sentenza del tribunale, chi non indicherà la fede nei documenti sarà accusato di «tradimento contro lo Stato». Anche chi cercherà di accedere a un impiego governativo dovrà chiarire la propria appartenenza religiosa. La Costituzione e la giurisprudenza del Pakistan non prevedono alcuna discriminazione ufficiale in base al credo. Di certo, però, i non musulmani devono superare non pochi ostacoli per farsi spazio in un un Paese islamico al 96 per cento.

A spingere i giudici di Islamabad alla sentenza, è stato il ricorso avanzato dal movimento estremista sunnita Tehreek-e-Labaik e legato al possibile cambiamento della legge elettorale. Questa prevede il giuramento religioso islamico per ogni cittadino che assuma una carica pubblica. Si era dunque proposto di sostituirlo con una semplice dichiarazione solenne. La proposta è stata ritirata, ma il ricorso ha avuto come effetto imprevisto il pronunciamento sulla dichiarazione della propria fede nella domanda per i posti di lavoro governativi.

Tra le reazioni quella di Nasir Saeed, direttore di Claas (Centre for Legal Aid, Assistance and Settlement) nel Regno Unito, attivista tra i più attivi e impegnati nel cercare di alleviare le difficoltà per i cristiani sotto attacco: «Le minoranze religiose che sono già sotto pressione e soffrono per leggi opportuniste e politiche discriminatorie del governo saranno così ulteriormente minacciate». Come ha spiegato a Fides Anjum James Paul, di fede cattolica, docente di Scienze politiche e presidente dell’Associazione pachistana degli insegnanti appartenenti alle minoranze: «Non vedo alcun bisogno di conoscere l’identità religiosa di un cittadino quando lavora nelle istituzioni pubbliche, in quanto lo stato garantisce diritti uguali a tutti, indipendentemente dalla loro fede».

Per il governo, tuttavia, il requisito della dichiarazione di fede sui documenti ufficiali non è finalizzato a discriminare o a danneggiare in altro modo le minoranze religiose. A rafforzare questa tesi ufficiale è stato il portavoce del ministero per gli Affari religiosi. «La dichiarazione della fede di appartenenza – sottolinea Sajjad Qamar – vuole facilitare l’accesso delle minoranze in tutti i settori statali, nella logica di riservare il 5 per cento dei posti disponibili. Il governo e le istituzioni statali senza eccezione sono impegnati a garantire la sicurezza di tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro religione, casta o credo».