Mondo

Paese in macerie. Sud Sudan, Caritas: ricostruzione possibile

Lucia Capuzzi domenica 10 luglio 2016

Quasi la metà della sua breve vita l’ha trascorsa in guerra. Per oltre due anni su cinque di indipendenza, il Sud Sudan  è stato dilaniato dal conflitto civile. La battaglia politica tra il presidente Salva Kiir e il vice, Riek Machar, esplosa nel giugno 2013, s’è trasformata, in breve, in scontro etnico. I due leader, infatti, appartengono a differenti comunità: Kiir è dinka mentre Machar è nuer. Il risultato è stato un bagno di sangue: 50mila morti, 1,6 milioni di sfollati interni, 650mila profughi nei Paesi confinanti e un’infinita serie di atrocità.

Uno dei frammenti più cruenti, eppure invisibile, di quella “guerra mondiale a pezzi” più volte menzionata da papa Francesco. Nonostante la firma dell’accordo di pace, nel novembre 2015, la crisi è tutt’altro che risolta, come sottolinea Caritas italiana, nel recente rapporto pubblicato in occasione del “quinto compleanno” del più giovane Paese d’Africa. L’organizzazione, impegnata da oltre trent’anni nella regione, ben prima dell’emancipazione da Khartum, ha inviato dal 2011, circa 2,5 milioni di euro e, nell’ultimo anno, ha dovuto intensificare gli interventi in risposta all’emergenza grazie al contributo della Conferenza episcopale italiana con i fondi dell’8xmille. Sulla ricostruzione e la possibilità di un nuovo inizio pesa come un macigno l’eredità bellica. Circa 4,8 milioni di persone, oltre un terzo della popolazione – secondo gli ultimi calcoli di Fao, Unicef e Programma alimentare mondiale – dovrà fare i conti con una tremenda carestia nei prossimi mesi: mai prima d’ora la nazione si era trovata di fronte a una catastrofe di tale portata.

Una scuola su tre, inoltre, è stata distrutta o danneggiata, 300mila bimbi hanno dovuto lasciare i banchi, la maggior parte delle infrastrutture è in macerie mentre le armi, fornite in primis dalla Cina, circolano indisturbate alimentando la violenza. In questo contesto quantomeno difficile, i vescovi locali hanno esortato a non lasciarsi sopraffare dalla disperazione e a impegnarsi per cambiare la situazione. «Dobbiamo sfidare la cultura militarista in Sud Sudan, dove perfino i fucili portano fucili da guerra», hanno scritto nel messaggio del 16 giugno. E ancora: «Non c’è una guerra giusta (...) ma è necessario un approccio alla pace giusta». A tal fine, la Chiesa sudsudanese – che insieme alle altre Chiese cristiane e a vari attori della società civile ha partecipato ai negoziati di pace ad Addis Abeba – è in prima linea per la riconciliazione, con un lavoro capillare nelle comunità attraverso una serie di iniziative, tra cui momenti di preghiera comune. Chiave, in tal senso, il ruolo di Solidarity with South Sudan, organismo che riunisce in una realtà unica le diverse congregazioni attive nel Paese, per portare una testimonianza di unità e comunione. Caritas italiana, supporta Caritas locale in progetti di ricostruzione del tessuto comunitario, insieme alla diocesi di Wau, ai comboniani e al Catholic Radio Network. La rete Caritas, inoltre, ha un ruolo importante nell’assistenza ai profughi e ai rifugiati con una serie di interventi in ambito sanitario, alimentare, educativo. In particolare, è in corso un grande lavoro per ricongiungere con i genitori i piccoli disperdi nel conflitto, a causa delle migrazioni forzate e del reclutamento dei minori da parte delle milizie.