Mondo

La missione. Obama in Kenya sfida il terrore e la Cina

Loretta Bricchi Lee sabato 25 luglio 2015
Quattro giorni nella terra di origine del padre, ma soprattutto una visita per dare quel segno che l’Africa aspetta dal primo presidente nero americano ormai da quasi otto anni. Il lascito di Barack Obama, in ogni caso, non avrà tanto a che fare con la propria eredità culturale. L’obiettivo è segnare un punto contro l’egemonia della Cina sul Continente e cercare di fermare la diffusione del terrorismo. Le aspettative, del governo locale come dei singoli cittadini sono molteplici, dal campo economico a quello militare. E ci sono pochi dubbi che molte verranno lasciate insoddisfatte. Tra queste, persino la richiesta di andare a visitare la tomba del padre, che la 94enne nonna Mama Sarah intende presentare al nipote quando lo rivedrà nella capitale. Obama, accolto all’aeroporto dal presidente Uhuru Kenyatta e dalla sorella Auma, si è mostrato affabile e sorridente. La sua sarà, però, una visita breve e concentrata: domani partirà per l’Etiopia per un incontro dell’Unione Africana. Come ha spiegato il capo della Casa Bianca, prima di partire, l’obiettivo principale è quello di «trasmettere il messaggio che gli Usa sono un forte partner non solo del Kenya, ma dell’Africa sub-sahariana in generale », sottolineando che la sua quarta visita da presidente alla regione è una prova di tale impegno. Il fatto è che il suo arrivo a Nairobi rappresenta la prima visita ufficiale non solo di Obama, ma di un presidente americano in carica. Il che spiega le ingenti misure di sicurezze: il governo ha schierato 10mila agenti per garantire la sicurezza del leader Usa. I suoi precedenti viaggi furono portati a termine prima della sua elezione alla Casa Bianca, mentre quelli da presidente si limitarono ad altre nazioni più stabili quali il Ghana.  Secondo l’Amministrazione, la percezione che la politica estera del presidente abbia ignorato il Continente di origine, a favore di un rafforzamento dei legami con l’Asia, sarebbe infondata. Basterebbe pensare all’iniziativa da 7 miliardi di dollari lanciata nel 2013 per ampliare la rete elettrica e, più recentemente, quella per contenere la diffusione del virus dell’ebola. Mancherebbe, però, una misura distintiva del suo impegno, della portata delle cure per l’Hiv e l’Aids finanziate sotto la presidenza di George Bush o dell’allentamento delle restrizioni commerciali per 35 Stati africani promossa da Bill Clinton. Ora, la promozione dei rapporti commerciali bilaterali sta diventando urgente, se Washington non vuole rimanere indietro rispetto alla Cina, e sarà pertanto in cima all’agenda degli incontri, questo fine settimana, con il Global Entrepreneurship Summit dove Obama parlerà a giovani imprenditori insieme con il presidente keniano. Quest’ultimo vorrebbe vedere maggiore collaborazione con le aziende Usa nel settore dell’energia e delle infrastrutture, oltre che a quello sanitario. Un obiettivo condiviso anche da Obama che, prima di lasciare gli Stati Uniti ha sottolineato la necessità di «abbattere gli stereotipi e le barriere » perché «nonostante le tante sfide, l’Africa è un luogo dall’incredibile dinamismo, uno tra i mercati mondiali in più rapida crescita».  Una delle ragioni chiave della necessità di tali investimenti americani risiede nell’urgenza di contrapporre l’espansione dell’influenza della Cina sul Continente. Pechino, non solo ha già speso centinaia di miliardi in infrastrutture, contribuendo alla costruzione di strade, aeroporti e ferrovie, ma dal 2009 – ironicamente l’anno in cui Obama iniziò il suo primo mandato – ha superato Washington quale in maggiore partner commerciale dell’Africa. Le sfide, in tal senso, passano attraverso il rafforzamento della sicurezza e la lotta al terrorismo degli islamisti somali di al-Shabaab che gli Usa cercano di tenere a bada addestrando i militari keniani. Compiti difficili ma necessari perché, come ha detto Obama «quando la gente vede opportunità è meno vulnerabile all’influenza di ideologie distorte».