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LA GUERRA IN SIRIA. Obama e la trappola della crisi siriana

Elena Molinari martedì 27 agosto 2013
Barack Obama si sente trascinato suo malgrado nel mezzo di una com­plessa guerra settaria in una del­le regioni più turbolente del pia­neta – che aveva promesso di e­vitare. E chiaramente non gli piace. Proprio quando sperava di aver messo un fermo limite all’interventismo americano nel mondo, soprattutto in quello a­rabo, il presidente statunitense potrebbe essere spinto ancora una volta a schierarvi la poten­za militare Usa.
Lui stesso un anno fa ha defini­to l’uso di armi chimiche da par­te di Assad una «linea rossa» il cui superamento avrebbe spin­to gli Stati Uniti all’azione. Ri­manere a guardare mentre il re­gime di Damasco sferra attac­chi al gas nervino su larga scala farebbe crollare la sua credibi­lità. Il mondo lo sta osservando. Ma questo è il presidente che, alla fine del suo primo mandato, a­veva promesso u­na politica estera dedicata a difen­dere gli interessi a­mericani nel mon­do e a intraprende­re azioni di con­certo con gli alleati e le Nazioni Unite.
Gli interessi Usa in Siria sono limitati, e la comunità in­ternazionale è divisa sull’op­portunità di un intervento. O­bama ha anche imparato, cer­cando di sbrogliare la matassa dell’Iraq e dell’Afganistan, che il coinvolgimento militare Usa in Medio Oriente non funziona be­ne, né per gli americani, né per i Paesi coinvolti. I cosiddetti “interventi chirurgi­ci” calibrati per colpire gli arsenali di regimi nemici non sono mai ab­bastanza precisi da evitare enormi danni collaterali alla popolazione civile, specialmen­te in città densamente popola­te come quelle siriane. In questo senso, lo hanno avvertito i ge­nerali, la Siria non è la Libia. I­noltre c’è l’opinione pubblica statunitense con cui fare i con­ti.
Il 60% degli americani non vuole mandare altri soldati Usa in terra araba, e vuole solo chiu­dere del tutto il capitolo afgha­no. Stando ai sondaggi, più di metà dei cittadini Usa sono in­fastiditi dal ricorso di Obama a ultimatum che potrebbero co­stringerlo all’azione. In Con­gresso, al contrario, si stanno moltiplicando le voci bellicose, soprattutto di senatori che, co­me John McCain, vedono un af­fronto nella spudoratezza con cui Damasco ignora gli avverti­mento di Washington. Obama vuol far sapere ad Assad, e allo stesso tempo a Teheran, che la sua pazienza è finita. Ma non vuole immischiarsi in un conflitto che non gli appartie­ne.