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L'AMERICA E IL MONDO. Obama «chiude» il capitolo Iraq Truppe Usa a casa entro 18 mesi

Alberto Simoni sabato 28 febbraio 2009
Disimpegno parziale dal-­l’Iraq in diciotto mesi, entro la fine dell’agosto del 2010; ritiro totale entro il 31 dicembre del 2011. Obama ha scelto Camp Lejeune, base dei marines in Nord Carolina, per delineare la sua via d’uscita dal-­l’Iraq. Ricorda che tra pochi gior­ni cadrà il sesto anniversario dell’invasione dell’allora Paese di Saddam Hussein e che è tem­po di porre fine a quel conflitto lacerante per l’America. Ma non vuole una fuga, piuttosto – co­me si legge nel titolo del comu­nicato – un «finale responsabi­le della guerra in Iraq». Il presidente dice ai soldati che l’Iraq «non è ancora sicuro e che ci saranno giorni difficili dinan­zi ». Ma non è compito degli U­sa controllare Baghdad. «Non possiamo pattugliare le strade i­rachene fino a quando saranno completamente sicure o rima­nere fino a che l’Iraq sarà un po­sto perfetto». Giusto, rammen­ta il capo della Casa Bianca, che il fardello e l’onere di reggere il Paese spetti agli iracheni. Il pas­saggio però avverrà per gradi. Per questo quando il 31 agosto del 2010 oltre 100mila uomini saranno tornati nelle lo­ro case negli Usa, ne re­steranno fra i 35mila e i 50mila per addestrare l’esercito locale, garanti­re la stabilità e consiglia­re le forze di sicurezza i­rachene. Le prime ad an­darsene saranno le bri­gate da combattimento. «Lo dico il più semplice­mente che posso: entro il 31 a­gosto 2010 la nostra missione di guerra in Iraq sarà finita». Sedi­ci mesi più tardi calerà il sipario sulla guerra voluta da Bush nel 2003. «Completeremo il trasfe­rimento di responsabilità al go­verno iracheno e noi porteremo le nostre truppe a casa con l’o­nore che si sono conquistate sul campo: gli Stati Uniti – ha detto rivolto agli iracheni – non recla­mano in nessun modo il vostro territorio e le vostre risorse. Ri­spettiamo la vostra sovranità ed i terribili sacrifici che avete fat­to per il vostro Paese». Il presidente ha inserito il di­simpegno militare in un quadro diplomatico più complesso. La seconda fase prevede un mag­gior ruolo per la diplomazia. A Christopher Hill, nominato am­basciatore a Baghdad, il compi­to di aiutare le autorità irache­ne a tratteggiare un futuro di pa­ce e prosperità in un contesto di relazione con i Paesi vicini. Que­sto implica – ha detto Obama – «un impegno comprensivo del­l’America ». Washington sosterrà un dialogo (Obama ha parlato di “engagement”) con «tutte le nazioni della regione che inclu­de l’Iran e la Siria». Prima di annunciare il suo pia­no Obama ha telefonato al pre­mier iracheno Nouri al-Maliki e al suo predecessore alla Casa Bianca, George W. Bush. Obama ha detto di aver ascolta­to le argomentazioni del capo del Pentagono Bob Gates e del consiglio di Sicurezza naziona­le prima di dare semaforo verde al piano. La strategia è stata ac­colta positivamente dal repub­blicano John McCain. Qualche mugugno invece negli ambien­ti vicini alla Difesa, scettici sul­l’indicazione di precise scaden­ze. Secondo quando appreso da Avvenire , ci sarebbe già una bozza di come sarà scaglionato il ritiro: massimo 25mila uomi­ni nel 2009 se passerà la linea del generale Ray Odierno, 90mila nei primi 8 mesi del 2010. Quin­di i restanti entro il dicembre 2011. Le fonti sottolineano fra l’altro che il passaggio più deli­cato del piano sta nel «totale ri­tiro del 2011 che modifica il So­fa (l’accordo di sicurezza firma­to a fine 2008 da Bush ndr) da un’intesa quadro per una part­nership strategica a lungo ter­mine in una garanzia di ritiro».