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Pakistan. Noreen: io cristiana rischio la pena di morte. Chiedo all'Italia di salvarmi

Luca Geronico martedì 17 gennaio 2017

Noreen Yousaf, ha chiesto asilo politico in Italia perché in base alla legge anti-blasfemia pakistana, avrebbe potuto essere condannata a morte

«Ho chiesto asilo politico in Italia perché in base alla legge anti-blasfemia, potrei essere condannata a morte», spiega Noreen Yousaf, ragazza pachistana di 28 anni. Dallo scorso autunno vive a Roma, presso dei parenti, e sta perfezionando l’italiano in modo da poter conseguire un dottorato di ricerca.


Laureata in scienze dell’educazione, in un suo scritto si era occupata proprio della legge anti-blasfemia, criticandola aspramente. Ora ha presentato domanda di asilo politico e impiega il suo tempo libero come volontaria nella sede di Aiuto alla Chiesa che soffre, la fondazione pontificia che si occupa dei cristiani perseguitati. «Nel giugno 2016 – racconta Noreen – il pastore Qandeel della Full Gospel Assembly of Pakistan, una chiesa protestante locale, ha convertito al cristianesimo una ragazza musulmana nel quartiere di West Colony a Jhelum, unendola in matrimonio con un cristiano di nome Nadeem».

In Pakistan, in base al diritto islamico, un musulmano può sposare una cristiana ma non è permesso a una ragazza musulmana di sposarsi con un cristiano e quindi cambiare religione. Se questo avviene i leader musulmani integralisti incitano le folle contro i cristiani, e a soffrirne le conseguenze non è solo lo sposo, ma anche la sua famiglia e il suo quartiere. Così la notte del 10 luglio a Jhelum, città di 148mila abitanti nel Punjab, prosegue Noreen «la polizia è entrata nel quartiere cristiano di West Colony, ma non sono riusciti ad arrestare Qandeel. Con la polizia c’erano anche musulmani locali, che hanno rubato e picchiato brutalmente uomini e donne cristiani».

Una ritorsione per il matrimonio, mentre gli estremisti hanno distribuito dei volantini nei quali c’era scritto che avrebbero convertito all’islam tutte le ragazze di West Colony, facendole sposare con i musulmani. Per precauzione Noreen decise di trasferirsi nella casa di una sorella, a 200 chilometri da Jhelum, ma nemmeno questo è bastato. Uno dei volantini distribuiti a West Colony faceva riferimento a uno suo scritto in un’opera che criticava la legge anti-blasfemia. «Tua figlia Noreen Yousaf è blasfema perché ha insultato il profeta scrivendo il libro sulla legge della blasfemia e deve essere uccisa» c’era scritto su un volantino recapitato al padre. Da qui la decisione di venire in Italia. Ora Noreen non può tornare in patria perché «se mi rivolgessi alla polizia e se denunciassi le minacce ricevute sarei subito arrestata e condannata a morte. Per una accusata di blasfemia è sufficiente che sia un musulmano a denunciarmi, anche se l’accusa è falsa».