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Parigi. No alla violenza: Francia, si prega nelle moschee

Daniele Zappalà giovedì 19 novembre 2015

Il Consiglio dell’islam francese (Cfcm) e tutte le organizzazioni musulmane hanno chiesto alle moschee di Francia di dedicare la preghiera di domani alle vittime della strage del 13 novembre. A questo scopo il Cfcm fornirà un «testo solenne» che possa servire da «linea guida»». «I musulmani francesi – prosegue il comunicato – ribadiscono in tal modo il loro no categorico e senza ambiguità verso ogni forma di violenza, che sono la negazione stessa dei valori di pace e fratellanza dell’islam». Il Cfcm, infine, proclama il proprio «attaccamento incrollabile al patto repubblicano e ai valori che uniscono tutti» i francesi.

"Noi intellettuali islamici non restiamo in disparte"Per Abdennour Bidar, noto filosofo francese di confessione musulmana, gli intellettuali europei legati all’islam dovrebbero più che mai in queste ore «scendere in prima linea, restare sulla ribalta delle idee, delle proposte, dell’apertura a nuovi orizzonti di senso e di società». Altrimenti, avverte l’autore membro del comitato di redazione della prestigiosa rivista Esprit, crescerà il rischio della «regressione » voluta dal jihadismo. Bidar parteciperà il prossimo 7 dicembre a una tavola rotonda interreligiosa a Parigi organizzata dalla Conferenza episcopale francese, accanto al cardinale André Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi, a Haïm Korsia, gran rabbino di Francia e al monaco tibetano Matthieu Ricard. Questi attentati possono scavare in Francia un nuovo fossato fra musulmani e resto della società? È la trappola in cui non cadere. La chiara strategia del Daesh è di provocare il caos nella società, alimentando la paura che nutrirà il voto d’estrema destra. L’accaduto potrebbe aggravare questo fossato d’incomprensione. Da una parte, sospetti verso una religione percepita come violenta e aggressiva, dall’altra la sensazione di essere sempre più additati, stigmatizzati. Di fronte a quest’ingranaggio maledetto, dobbiamo comprendere con lucidità che questa trappola ha conseguenze sociali e politiche disastrose. Cosa pensa delle condanne degli attentati da parte dei rappresentanti religiosi musulmani? Sono necessarie e salutari, indispensabili per far diminuire il sospetto nei confronti di tutto l’islam, anche nel resto d’Europa. Ma ciò è insufficiente. Come dice il proverbio francese, il verme è nel frutto. Sul fronte islamico, non preoccupa solo il terrorismo jihadista, ma lo stato generale di una civiltà e cultura religiosa che regredisce verso l’oscurantismo, il dogmatismo, il neoconservatorismo, il rigorismo incapace d’adattarsi al presente e ai diversi contesti sociali. Si raggiunge il colmo quando essa parla di libertà di coscienza per reclamare il diritto di dar libero corso al suo radicalismo. Questo clima pesante potrebbe divenire paradossalmente un’occasione di emancipazione almeno per una parte dell’islam francese ed europeo? Lo spero, ma occorre creare l’occasione. Ci vogliono più filosofi e intellettuali, più chierici illuminati pur restando legati a dogmi e tradizione. Più musulmane e musulmani pronti a impegnarsi non solo come credenti, ma pure come cittadini che partecipano al progresso morale e sociale gene- rale, alla costruzione in Europa di società più giuste e fraterne, contro il liberismo selvaggio, le disuguaglianze fra ricchi e poveri, contro il materialismo antispirituale delle nostre società. Solo partecipando a tutte queste battaglie i musulmani europei potranno affermare la propria voce e forse costruire il modello di un’altra identificazione verso la cultura musulmana, non più ripiegata su se stessa, sulla difesa della sua identità e dei suoi interessi, ma aperta e impegnata in una logica di contributo al bene collettivo. Quali sono le sfide principali per i musulmani europei, dopo questi eventi tragici? Non restare in disparte. Associarsi intellettualmente e umanamente, con un impegno sociale e politico, a tutti quelli che rifiutano un mondo egoista dove si vive separati in comunità e tribù, dove l’uomo torna lupo per l’uomo. C’è una sacralità condivisibile che inizia con la lotta per una fratellanza senza frontiere, contro le disuguaglianze sociali e lo scontro fra le ignoranze, i rifiuti e le paure. Dentro l’islam ufficiale o ben integrato nella società, esistono talora sottili occultamenti e condiscendenze verso il radicalismo? Non è l’ora dei processi, ma della responsabilità e delle prese di coscienza. Abbiamo tutti la responsabilità di costruire un mondo comune, umano, dove integrare le nostre differenze in una globalizzazione che non deve essere omogeneizzazione, né solo una questione economica, ma l’unione di tutti nella ricerca di una giustizia e pace per tutti, senza esclusi, né sacrificati, a nessun livello.