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Iniziati i lavori. Nicaragua, il canale sfida Panama. E non solo

Lucia Capuzzi lunedì 29 dicembre 2014
«E quando loro diranno “già”, allora giungerà...». Il momento – atteso invano da Plutarco, protagonista del più famoso romanzo di Lizandro Chávez Alfaro, “Trágame tierra” (Divora la terra) – è arrivato. La costruzione del canale del Nicaragua è ormai iniziata. La posa della prima pietra, il 22 dicembre, non è stata accompagnata da esplosioni di entusiasmo collettivo bensì da roventi polemiche. E accese proteste. La vigilia di Natale, l’intervento della polizia per fermare i manifestanti anti-canale ha provocato due morti e oltre quaranta feriti. I cortei – giurano gli organizzatori – proseguiranno a oltranza. Il sogno del canale – vagheggiato per oltre cento anni da Managua – rischia di trasformarsi in un incubo. Esattamente un secolo fa, il Paese vide soffiarsi l’idea da Panama, scelta dagli Stati Uniti per costruirvi il varco interoceanico che ha ridotto da sei mesi a dieci ore il tempo di viaggio tra Pacifico e Atlantico. Nel 2012, il presidente Daniel Ortega, ex guerrigliero convertito al liberismo, ha deciso di sfidare l’egemonia panamense. Il 13 giugno, il Parlamento ha affidato, in tutta fretta, al magnate cinese Wang Jing, leader del gruppo Hknd, la realizzazione del “Gran Canal”. Un’opera monumentale da 278 chilometri di lunghezza (oltre il triplo di Panama) e trenta meri di profondità, che porterà «la crescita economica a quota 15% nel 2015 e due milioni di posti di lavoro». Parola del presidente Ortega. Cifre contestate dall’eterogeneo fronte oppositore al progetto: al suo interno ci sono contadini, sindacalisti, ambientalisti, intellettuali, associazioni per i diritti umani laiche e religiose. Secondo vari analisti, i guadagni sarebbero appena il 2,5% di quelli promessi dal governo. Anche perché per i prossimi cento anni la concessione di sfruttamento sarà di Wang ed eredi. Pro e anti-canale concordano, invece, sulla stima dei costi: 55 miliardi di dollari. Chi li sborserà è una questione tutt’altro che risolta. Wang, 41enne con un passato nelle telecomunicazioni, è un imprenditore sbucato dal nulla. A portarlo in Nicaragua è stato Laureano, figlio di Ortega: avrebbe dovuto rimodernare le telecomunicazioni. L’investimento previsto – 2 milioni di dollari – è rimasto finora sulla carta. In compenso, l’imprenditore si è impegnato a completare la «più imponente via d’acqua della storia». Come non è dato saperlo. Il gruppo Hknd, con sede a Hong Kong, ha un capitale inferiore ai 200mila dollari. Il magnate, però, ha assicurato che si sta lavorando a una non meglio precisata cordata. La segretezza alimenta il dubbio che si tratti di una «maxi-truffa» o che Wang sia solo una testa di ponte di Pechino per procedere alla conquista dell’America Centrale. Il controllo del Gran Canal consentirebbe alla Cina una presenza strategica in una delle tradizionali aree di interesse di Washington. Proprio ora che quest’ultima ha smesso di controllare lo stretto di Panama. Il “colpo” potrebbe alterare gli equilibri geopolitici e commerciali a favore del Dragone, il quale, con la riduzione del costo del trasporto, renderebbe ancora più competitive le proprie merci nel mercato americano. Sembrano temerlo anche gli Usa. Il disgelo con Cuba può essere letto come un tentativo di recuperare terreno a Sud del Rio Bravo in modo da neutralizzare la concorrenza cinese. Il governo di Ortega tira dritto, in totale riservatezza. Il tracciato del mega-varco è stato appena comunicato Scatenando ulteriori polemiche. Il canale “spezzerà” in due il Paese, collegando i i due Oceani da Brito a Punta Gorda. E per 105 chilometri attraverserà il lago Cocibolca, il più grande dell’America Centrale, con il rischio di compromettere il prezioso ecosistema. Nonostante gli impegni, lo studio di fattibilità ambientale non è stato ancora presentato. Secondo varie Ong e scienziati, oltre al prestigioso centro di ricerca Humbolt, il mega-vargo distruggerà l’oasi naturale e farà estinguere molte specie di pesci, mettendo a repentaglio la sopravvivenza di migliaia di pescatori. Non solo. La licenza concessa a Wang consente a quest’ultimo ampi margini di discrezionalità nella scelta dei terreni da espropriare. Tra i 20 e i 30mila agricoltori perderanno i campi, in cambio di indennizzi ancora da chiarire. «Alla fine ci porteranno vie le terre e non vedremo né i soldi né il varco», dice sconsolato Juan, uno dei manifestanti.