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Israele. Netanyahu, tegola elettorale. «È pronta l'incriminazione»

Fiammetta Martegani venerdì 1 marzo 2019

«La sinistra e i giornalisti israeliani stanno mettendo in pericolo la sicurezza e la democrazia del Paese. È una caccia alle streghe per abbattere il governo di destra. L’obiettivo è quello di influenzare le elezioni. Ma queste accuse crolleranno come un castello di carte». Durissimo, con toni quasi rabbiosi, ieri sera il premier Benjamin Netanyahu si è presentato in tv per reagire all’annuncio dell’Avvocato generale dello Stato, Avichai Mandelblit, che aveva appena dato parere favorevole alla sua incriminazione.

Sono tre le indagini che da mesi pendono come una spada di Damocle sulla testa di Netanyahu: “Caso 1000”, “Caso 2000” e “Caso 4000”. Le accuse sono di frode, abuso di fiducia e corruzione. Riguardano i rapporti con Shaul Elovitch, proprietario dell’azienda di telecomunicazioni “Bezeq”, e Arnon Moses, editore del quotidiano Yedioth Ahronoth, per ottenere una copertura mediatica. E poi c’è un’accusa di frode e abuso di fiducia per aver ricevuto regali di lusso dal produttore cinematografico Arnon Milchan, in cambio di favori finanziari.

Il procuratore generale ha detto di volere procedere all’incriminazione di Nethanyahu su tutti i tre fronti, ma gli verrà concessa la possibilità di difendersi prima che l’incriminazione venga formalmente presentata. Non si sa ancora quando. Il fatto è che la tempistica è determinante, viste le imminenti elezioni, il 9 aprile. Il principale sfidante del premier, Benny Gantz, leader del partito centrista «Blu Bianco», ha chiesto che Netanyahu si faccia da parte. Anche il leader dell’opposizione laburista, Avi Gabbai, ha già chiesto le dimissioni del premier. Che proprio ieri si è visto riconfermare l’appoggio del presidente Usa Donald Trump, che l’ha definito un uomo «duro, intelligente e forte».

Proprio in questi giorni gli Stati Uniti stanno cercando di ultimare una proposta di pace per la regione. Il cosiddetto “Accordo del Secolo” non prevederebbe la nascita di uno Stato palestinese con Gerusalemme capitale, ma un’autonomia palestinese nella Striscia di Gaza con legami politici ed economici alla Cisgiordania.

Ieri, un’altra notizia ha causato una forte reazione nel Paese. In un rapporto della Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite, diffuso al Consiglio Onu per i diritti umani a Ginevra, si legge che Israele avrebbe commesso «crimini contro l’umanità» a Gaza nel corso delle proteste del 2108 per la cosiddetta Marcia del Ritorno. Gli esperti sostengono di avere prove che i militari israeliani avrebbero aperto intenzionalmente il fuoco contro civili palestinesi, violando le leggi internazionali di guerra. Israele ha respinto con fermezza tali accuse. Il ministro degli Esteri, Yisrael Katz ha definito «ostile, falsa e prevenuta» l’inchiesta. «Nessuna istituzione può negare il diritto di Israele all’autodifesa e il suo dovere di difendere i propri cittadini e le frontiere dagli attacchi violenti», ha spiegato.

Solo l’altra notte, i militanti di Hamas sono tornati ad attaccare i soldati israeliani al confine con bottiglie incendiarie, petardi e ordigni improvvisati. Uno di questi, attaccato a uno dei tanti (migliaia) di palloni incendiari che da mesi devastano le terre coltivate israeliane lungo la barriera, è esploso vicino a un’abitazione civile.