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Usa. California, nella patria dei «Dreamer», la paura scende in piazza

Mariangela Mistretta, San Francisco venerdì 8 settembre 2017

Corteo di protesta contro Trump dei “dreamers” di Nashville in Tennessee (Ansa)

La reazione non si è fatta attendere a San Francisco: fin da martedì la gente ha cominciato a riunirsi sotto il Federal Building con cartelli e slogan per dire no all’abrogazione del programma Daca, annunciata dal ministro della Giustizia americano, Jeff Sessions. In poco tempo circa mille persone, fra giovani e meno giovani, hanno aderito alla protesta perché per tanta gente la deportazione può diventare una minaccia reale e la paura è palpabile. Anche se ieri Donald Trump ha twittato che «per sei mesi» non devono «preoccuparsi». Poi si vedrà. Secondo le stime ufficiali circa 800mila giovani e giovanissimi, sono protetti dal programma in tutto il Paese, e di questi più di 200mila vivono, lavorano o studiano in California. Sono la maestra d’asilo, lo studente del college, il giovane imprenditore, la dipendente di Facebook o Amazon. Giovani arrivati piccolissimi negli Stati Uniti, fra i 3 e i 6 anni, in gran parte dal Messico, El Salvador, Honduras, Guatemala con i loro genitori che sono entrati illegalmente o che nel tempo hanno perso lo status di residenti. E che oggi hanno tra i 16 e i 35 anni e per i quali l’«America è il loro Paese». Li chiamano «Dreamer» perché incarnano il sogno americano. A loro l’amministrazione Obama ha regalato più di una spesibile ranza varando questo programma, ma oggi ogni loro certezza viene messa a repentaglio. «No ban, no walls, sanctuary for all» (nessun bando, niente muri, città santuario per tutti) hanno gridato lungo la marcia che li ha portati davanti al City Hall. «Non saprei dove andare – ammette Isabel 28 anni studentessa del City College, visibilmente commossa –. A El Salvador non ho più nessuno, mia madre è morta, e non torno più da anni».

I “sognatori” hanno un livello di istruzione più elevato e impieghi di maggiore responsabilità e meglio retribuiti rispetto ad altri immigrati arrivati più di recente, perché hanno costruito qui il loro cammino professionale. «Senza Daca ripiomberemmo in una vita impos- », dice Ricardo, arrivato dal Messico a 9 anni con le due sorelle più piccole. Oggi con il suo lavoro mantiene la famiglia: «Per me sarebbe la rovina». Ma non tutti se la sentono di protestare: «Hanno paura di uscire allo scoperto, allora noi manifestiamo per loro», spiega qualcuno per strada. In altri casi c’è chi afferma che «venire allo scoperto è liberatorio », come per Blanca arrivata qui a 3 anni: «È necessario che si sappia che esistiamo, che sentiamo che questo è il nostro Paese, e non abbiamo alcuna colpa». Intanto i sindaci delle maggiori città californiane hanno dichiarato il loro impegno in difesa di questi giovani. Anche a Berkeley gli studenti universitari hanno protestato, mentre domani scenderanno in piazza i cittadini di Oakland.

E c’è già chi fa i conti: se il Daca fosse cancellato la California, con la Silicon Valley in testa, perderebbe più di 11 miliardi all’anno. Per non parlare dei costi che comporterebbe un numero così elevato di deportazioni. Sull’argomento migranti è intervento però duramente anche l’ex consigliere di Trump ed ex stratega della Casa Bianca Steve Bannon: la Chiesa cattolica – ha detto in un’intervista il controverso personaggio – «ha un interesse economico nell’immigrazione illegale senza limiti. Ha bisogno di stranieri illegali per riempire le chiese».