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La missione. Mozambico, la visita di Mattarella e i 30 anni dell'accordo di pace

Angelo Picariello, inviato a Maputo (Mozambico) martedì 5 luglio 2022

Don Angelo Romano

La pace non spunta dal niente, e una volta raggiunta non è per sempre. Lo sa bene il Mozambico, dove il presidente della Repubblica Sergio Mattarella è da ieri in visita, atterrato a Maputo alle 19,30, a trent’anni dallo storico accordo. Un’intesa che vide l’Italia protagonista, dopo due anni di negoziati a Trastevere – a chiudere una lunga guerra civile scoppiata in Mozambico dopo l’indipendenza raggiunta dal Portogallo – attraverso l’opera di mediazione della Comunità di Sant’Egidio e della Chiesa locale, ma col contributo diretto anche del governo italiano.

Una visita di grande attualità, anche per l’estrema necessità che in questo momento l’Italia ha di fonti di approvvigionamento alternative al gas russo, e per l’aiuto che può venire da questo giovane Paese africano. Ma proprio nella Regione di Cabo Delgado, con enormi giacimenti off shore, sono tornate le violenze. I terroristi shabaab, che diffondono proclami islamisti e rivendicano presunti legami con il Daesh, hanno reclutato in questi anni tra i giovani emarginati. L’esproprio di molte terre ad opera di un governo centrale che ha favorito lo sfruttamento delle enormi risorse locali da parte di multinazionali straniere senza benefici per la popolazione, ha offerto terreno fertile alla propaganda dei terroristi. Il tutto si è trasformato, a partire dal 2017, in attacchi e scontri, con oltre tremila morti e 800mila sfollati.

In aiuto delle forze armate mozambicane è intervenuta una missione sotto l’egida della comunità degli stati dell’africa australe (Sadc), che però non ha ancora respinto la minaccia. Anche il progetto di estrazione del gas di Total a Palma è stato bloccato per ragioni di sicurezza, mentre il progetto Eni di estrazione del gas offshore, in mare, sembrerebbe più al riparo da rischi. La visita di Mattarella, accolto da danzatrici locali in abito tradizionale, avrà oggi uno svolgimento di carattere istituzionale, con la firma in programma insieme al presidente mozambicano Nyusi, di un accordo triennale di cooperazione allo sviluppo. Domani sono previsti invece incontri con le realtà associative della cooperazione e della solidarietà per poi portarsi il giorno dopo nello Zambia.

Trent’anni dallo storico accordo di pace del Mozambico, ma per la Comunità di Sant’Egidio, che ebbe un ruolo decisivo nel promuoverlo, è una presenza più lunga, mai cessata, ad accompagnare la faticosa vicenda di un popolo che prima e dopo l’indipendenza dal Portogallo ha attraversato e attraversa di nuovo anni segnati devastanti conflitti.

Don Angelo Romano, rettore della Basilica di San Bartolomeo a Roma, segue in prima persona i tanti fronti africani in cui è impegnata la Comunità.

Quando inizia la presenza di Sant’Egidio in Mozambico?

Inizia a fine degli anni Settanta grazie all’amicizia con l’allora vescovo di Beira, Monsignor Jaime Gonçalves, che rivolse disperati appelli per la disastrosa situazione umanitaria del Paese, finito nel pieno di una guerra civile – dopo il lungo conflitto che aveva portato all’indipendenza dal Portogallo nel 1975 – tra il partito Frelimo di orientamento marxista, e la guerriglia Renamo, sostenuta dal Sudafrica e dalla Rhodesia di Ian Smith. Nei primi anni Ottanta vi è una pesante carestia e la guerriglia paralizza le principali vie di comunicazione. Monsignor Gonçalves ci chiede aiuti umanitari, ma anche di sostenerlo nei rapporti con il governo, che ha nei primi anni di indipendenza una politica a tratti ostile alla Chiesa.

Nasce così, su sollecitazione pastorale, un impegno anche «istituzionale». Che cosa accade?

Dopo aver stabilito contatti con la Renamo, e verificata la disponibilità del governo, si organizzano i negoziati a Roma, presso la sede della Comunità. Quattro sono i mediatori: Andrea Riccardi e don Matteo Zuppi per la Sant’Egidio, monsignor Gonçalves per la Chiesa cattolica, Mario Raffaelli in rappresentanza del Governo italiano. I negoziati durano due anni e mezzo e portano il 4 ottobre 1992 alla firma della pace.

Così è potuta crescere una nuova generazione.

Migliaia di bambini hanno frequentato le Scuole della Pace che Sant’Egidio ha aperto in decine di città e villaggi. Un vasto movimento di Giovani per la Pace si è diffuso anche nelle scuole e nelle università. Inoltre attraverso il programma Bravo! (Birth Registration against Oblivion) si è permesso a decine di migliaia di bambini mozambicani di essere registrati all’anagrafe, strappandoli dall’invisibilità. Nella stessa direzione va il programma Dream (Disease Relief through Excellent and Advanced Means) oggi presente in 11 Paesi africani con 48 centri. Dal 2002 nel solo Mozambico sono state curate oltre 200mila persone, puntando molto sulla diagnostica e la prevenzione da malaria, tubercolosi, malnutrizione.

Ma purtroppo da alcuni anni l’incubo della guerra torna a farsi sentire del Nord del Paese.

Quello per la pace è un impegno costante. La Comunità ha sempre continuato, dopo il 1992, un grande impegno anche politico-diplomatico per mantenere la pace, fino alla firma dell’ultimo accordo del 6 agosto 2019. Ma il fanatismo religioso punta a seminare il terrore, dal 2017 è iniziata una guerriglia islamista, che ben presto ha mostrato collegamenti alla rete dell’Isis. Nell’attuale crisi di Cabo Delgado, Sant’Egidio continua ad operare per aiutare le popolazioni locali e per sostenere e incoraggiare il dialogo e l’azione per il bene comune di tutti i credenti, sia cristiani che musulmani.