Mondo

La persecuzione. Missionari nel mirino nelle Filippine di Duterte

Stefano Vecchia giovedì 28 giugno 2018

Il presidente Rodrigo Duterte, Ansa

Si va sviluppando la campagna lanciata a livello mondiale dalla Chiesa metodista per chiedere il rilascio di un missionario arrestato nelle Filippine e di altri due compagni a cui le autorità hanno negato l’uscita dal Paese. I tre sono accusati di «attività sovversive». Il vescovo metodista dell’Area di Manila, Ciriaco Francisco, ha detto che: «l’Ufficio dell’immigrazione si giustifica parlando di partecipazione di nostri missionari a attività sponsorizzate da una organizzazione comunista dedita al terrorismo». In una lettera pastorale diffusa il 26 giugno, i metodisti segnalano «la grave preoccupazione per le iniziative prese dal governo contro missionari stranieri». Una preoccupazione che non riguarda solo esponenti della Chiesa metodista ma anche suor Patricia Fox, la missionaria cattolica australiana da un trentennio nelle Filippine, che rischia l’espulsione nonostante una resistenza tenace. La religiosa 71enne ha sempre svolto una forte azione di difesa dei diritti degli ultimi dagli abusi delle autorità. Impegno che le ha procurato non pochi avversari. Una “colpa” simile a quella dei tre metodisti, che a febbraio si erano uniti a una missione umanitaria per far luce su pesanti violazioni dei diritti umani sull’isola di Minadanao.

Cresce la pressione sui religiosi

La pressione sui religiosi stranieri cresce. Come pure l’insofferenza del presidente Rodrgo Duterte nei confronti di attivisti e missionari che evidenziano le brutalità commesse sotto la sua amministrazione. Non a caso, da novembre dello scorso anno, si è andata intensificando la violenza contro esponenti religiosi, sia protestanti, sia cattolici. Sono tre i sacerdoti uccisi da dicembre e un altro è rimasto ferito. Lo stesso Duterte, che dal cattolicesimo è passato tempo fa a una setta cristiana, nega ormai ogni autorità alla Chiesa cattolica. Il 19 giugno è arrivato perfino a proclamare in pubblico la «stupidità» di Dio. Il vice-presidente della Conferenza episcopale, monsignor Pablo Virgilio David, ha sollecitato i cattolici a rispettare ruolo e mandato presidenziale ma ha anche espresso la speranza che Duterte «mostri lo stesso rispetto verso i cattolici». Il cardinale Luis Antonio Tagle ha invitato i fedeli a non lasciarsi distrarre da provocazioni. Li ha spronati, al contrario, a concentrarsi su temi pressanti come l’aumento dei prezzi, lo sfruttamento di donne e bambini, la violenza la criminalità, il terrorismo e la corruzione. Rivolto ai sacerdoti, inoltre, l’arcivescovo di Manila li ha esortati alla calma, chiedendo di leggere la situazione «con gli occhi della fede». Per il clero filippino, stretto nella morsa di minacce e violenze, è un momento difficile. Questo – dice la polizia, ma i dati non possono essere verificati in modo indipendente – avrebbe spinto quasi 250 operatori cattolici, tra cui 188 preti, a chiedere il porto d’armi. Anche in questo caso i vescovi hanno condannato l’iniziativa. Non minimizzato, però, i rischi dell’apostolato che possono arrivare anche alla morte.