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Il ministro degli Esteri. Mogherini: l'Onu aiuterà Meriam

Arturo Celletti sabato 17 maggio 2014
Meriam è una mamma... Ecco, continuo a pensare a questo: Meriam è una mamma, come io sono una mamma. Continuo a pensare al piccolo che porta in grembo e all’altro bambino che ora è in carcere con lei. Continuo a pensare a questa vicenda così atroce... A questa ragazza del Sudan così giovane, così coraggiosa, così determinata a difendere la sua fede cristiana. Ho pensato al suo dramma umano...». Federica Mogherini ha appena lasciato il palazzo delle Nazioni Unite e, correndo verso l’aeroporto di New York, riflette a voce alta su questa vicenda che sta scuotendo la comunità internazionale. Il ministro degli Esteri parla, e dietro le sue parole prendono subito forma speranza e fiducia. «L’Italia c’è, la comunità internazionale c’è, le Nazioni Unite ci sono. Ci siamo e ci saremo. Per dire basta a chi nega la libertà religiosa, basta a chi attacca le comunità cristiane, basta a chi mette in discussione i diritti umani... Ho appena visto il segretario generale delle Nazioni Unite ed è stato fermo: «Crescerà l’impegno dell’Onu. E Ban Ki-moon si muoverà in prima persona. È pronto a qualsiasi passo per mettere fine a queste atrocità, a qualsiasi mossa per risolvere il caso di Meriam». Ministro che vuol dire qualsiasi passo? Che non sarà un impegno solo verbale. Che ci sono passaggi concreti che le Nazioni Unite possono fare e che faranno. Ma terrei questa cosa riservata. Serve determinazione ma anche prudenza: c’è una vita da salvare. Ho ascoltato il segretario generale e ho avuto certezza della chiara volontà di occuparsi di questo caso. Di farlo diventare una questione prioritaria. Ci ha detto: siamo pronti a qualsiasi passo. E dietro quelle parole c’è un impegno forte. Eppure ogni anno centomila cristiani vengono uccisi solo perché cristiani. Non vede impotenza davanti a una così terribile atrocità? No, non vedo impotenza. Vedo voglia di reagire, vedo coraggio, vedo una mobilitazione internazionale luminosa, vedo l’impegno dei media, delle associazioni. Vedo un’onda che scuote queste grandi ingiustizie. Non c’è senso di frustrazione, non c’è rassegnazione; nell’opinione pubblica c’è la consapevolezza che queste violazioni ci riguardano e ci interrogano. Sono casi così lontani, ma anche così vicini. Meriam, le giovani studentesse nigeriane... Sono storie atroci che toccano i valori fondamentali in cui crediamo, che irrompono nelle nostre vite. Non c’è la tentazione di voltarci dall’altra parte, c’è invece la crescente volontà di farsi carico di problemi che percepiamo come nostri. Lontani, ma nostri. Una mobilitazione che aiuta... Esattamente: una mobilitazione che aiuta. È l’impegno della società civile. È la sfida collettiva a chi mette in discussione i diritti umani. Con Ban Ki-moon abbiamo parlato di pena di morte. Beh, né l’Italia né la comunità internazionale molleranno la presa. E allora ecco la sfida: un grande patto tra politica e società, tra associazioni e istituzioni. Per Meriam l’Italia che fa? E che può fare? Abbiamo seguito da subito questa vicenda. Da prima che la sentenza fosse resa nota. Da prima che finisse sui giornali. Siamo stati da subito in contatto con gli avvocati che difendono Meriam. Li sentiamo per sapere, per capire, per accompagnare il percorso che crediamo possa portare a un nuovo giudizio: noi crediamo in una revisione della sentenza e siamo decisi a fare sentire tutto il peso, tutta la credibilità e tutta l’autorevolezza del nostro Paese e delle Nazioni Unite. La strada è questa e il segretario generale potrà fare molto. Lei collegava Meriam alle giovani nigeriane. C’è un attacco alla libertà di religione, ma anche un attacco al ruolo della donna. E questo succede in Africa dove le donne devono essere ricchezza e speranza. La politica che può fare? Può fare molto. Può dimostrare la capacità di fare quadrato su questioni così decisive. Ci aspetta il semestre di presidenza e questa sarà l’occasione per una grande riflessione nell’Unione Europea sui diritti negati e sui cristiani perseguitati. Può fare molto l’Europa e molto l’Italia. Che deve lavorare senza distinzioni di maggioranza e opposizione. Io ci credo: siamo un Paese maturo. E deciso a dire basta distrazioni: è arrivato il momento che l’Europa tutta dica una parola forte.