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Intervista. Monsignor Longoni (Cei): «Solo il lavoro restituisce dignità»

Arturo Celletti venerdì 28 ottobre 2016

Anche la piccola Giordania può insegnare qualcosa alla grande Europa. Qui sono arrivati un milione e 400 mila profughi siriani e iracheni. Qui i cristiani aprono le porte ai rifugiati. Li accolgono nelle loro case. Li accompagnano in un cammino di recupero della dignità attraverso uno strumento fondamentale: il lavoro. Monsignor Fabiano Longoni, direttore dell’ufficio per i problemi sociali e del lavoro della Conferenza Episcopale, sintetizza il messaggio con parole forti: «È una straordinaria lezione di accoglienza, ma soprattutto un grande tentativo di integrazione». Il messaggio che segue è inevitabilmente diretto all’Europa. È quasi un invito a mettere da parte piccoli egoismi e ad affrontare il nodo immigrazione-rifugiati con uno sguardo nuovo: «Accogliere è il primo passo di un cammino. Ma non è il solo. La vera sfida, quella davvero decisiva, è ripensare l’accoglienza partendo dal lavoro».

A che cosa pensa?
Penso che una persona che non lavora perde la dignità. Penso che avere un lavoro da un senso alla vita di ogni essere umano. E un rifugiato è un essere umano. Che soffre più degli altri. Che ha bisogno più degli altri di gesti forti e coraggiosi. Mi viene in mente un’immagine per spiegare quello a cui penso: permanenza non passiva. Perché la passività svuota le persone. Gli toglie entusiasmo. Perché primi a soffrire di questa passività troppo spessa figlia della logica dei centri di accoglienza sono loro, i rifugiati.

Le cronache sono terribilmente tristi e raccontano di un’Europa e di un’Italia che ancora una volta alzano muri.
C’è ancora tanto egoismo, ma ci sono anche elementi di novità da cogliere, da valorizzare. Perché c’è un elemento pragmatico decisivo: l’immigrazione è fatta da persone giovani che sono pronte a lavorare e a portare molto più valore aggiunto dal punto di vista economico di quanto non ricevano in termini di accoglienza. Poi c’è anche un progresso culturale: il lavoro come promozione umana, il lavoro come strumento di integrazione. Credo che sia cominciata una riflessione importante.

Capace di aprire pagine nuove?
Ripeto è la scommessa e la speranza. Anche della Chiesa italiana. A Cagliari a fine ottobre dell’anno prossimo andranno in scena le Settimane sociali. Il tema è emblematico: Il lavoro che vogliamo: libero, partecipativo, creativo e solidale. Ecco la sfida. Ecco la nuova frontiera su cui muoversi anche sul versante immigrazione. Non c’è solo il dovere di ospitare. C’è un dovere più grande: puntare sulle capacità e sulle fantasie dei nostri immigrati. Capire che sono una risorsa. Capirlo prima che sia tardi.