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INTERVISTA. La politologa: «Metodi da comunismo cubano»

Michela Coricelli lunedì 13 dicembre 2010
«La proposta di riforma è un passo ulteriore in un panorama di restrizioni e attacchi alla libertà d’espressione». L’analista Maria Teresa Romero, professoressa della Scuola di Studi internazionali dell’Università centrale del Venezuela, boccia senza mezzi termini il nuovo progetto legislativo del governo di Chavez. Per quale ragione l’esecutivo bolivariano vuole legiferare anche in quest’ambito?Il governo vuole accelerare al massimo tutte le leggi che rafforzano il suo progetto politico, prima che in Parlamento – finora monocolore – arrivino i nuovi deputati dell’opposizione. Questa nuova proposta fa parte della radicalizzazione iniziata dopo le elezioni del 26 settembre. Il presidente lo ha ripetuto varie volte: è necessaria una radicalizzazione del processo rivoluzionario del socialismo del XXI secolo. Per gran parte della società venezuelana, però, si tratta di un progetto neocomunista, alla cubana. Temiamo che si traduca in una riduzione della democrazia liberale in tutti i termini. È in atto una corsa per approvare leggi o modificare testi, in linea con quanto venne proposto nella riforma della Costituzione del 2007, che venne rigettata via referendum dalla maggioranza della popolazione.La presentazione della nuova riforma è stata una sorpresa?Se ne parla da un anno. Penso che il governo sia preoccupato perché aumentano le critiche nei suoi confronti. Hanno già imposto dei limiti nell’ambito televisivo, ma non è facile controllare le voci critiche. Credo che il progetto miri anche ad impaurire i proprietari dei mezzi di informazione on line.In Venezuela, all’inizio dell’anno, si calcolavano quasi 9 milioni di utenti di Internet. Come reagiranno, soprattutto i più giovani che utilizzano le reti sociali, alla riforma?Provocherà delle proteste. Qui in Venezuela ogni giorno si svolgono manifestazioni per differenti ragioni. Penso che i giovani, che hanno sempre avuto un ruolo importante nella critica, continueranno a scrivere quello che pensano. In fondo si tratta di una sorta di censura: prevede sanzioni per chi diffonde determinati messaggi, per chi presta il servizio Internet, ma anche un opinionista potrebbe essere coinvolto. Questa è la teoria. Ma in pratica sarà molto difficile applicare tutto ciò. In qualsiasi caso non dobbiamo dimenticare dall’inizio del 2010 l’ex ministro cubano dell’informazione, Ramiro Valdes, ha assunto un ruolo di consigliere qui in Venezuela. Valdes è conosciuto a Cuba per la sua politica di censura in Internet. Cosa è cambiato nell’ultimo anno in Venezuela?Da parte del governo c’è stata una radicalizzazione in tutti gli ambiti, dalla politica estera alla sanità. Parallelamente, la situazione socio-economica del paese è peggiorata. L’inflazione è alta, come la disoccupazione. Il prezzo del petrolio non va più così bene e ultimamente ci sono state gravissime inondazioni. Tutto questo sta creando una situazione sociale esplosiva. Il rischio è che per colpa di alcuni dei settori più radicali dell’opposizione, le proteste degenerino in caos e scontri. Potrebbe diventare la scusa perfetta per un possibile intervento autoritario. Serve moderazione.