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Messico. In calo il partito del presidente. Ma «vincono» i narcos: uccisi 36 candidati

Lucia Capuzzi e Redazione Internet lunedì 7 giugno 2021

Indigene al seggio a San Bartolome Quialana

Il partito di governo messicano Morena ha perso la maggioranza assoluta e la maggioranza qualificata insieme ai suoi alleati alla Camera dei deputati nelle elezioni di medio termine. Secondo i primi risultati ufficiali dell'Istituto elettorale nazionale (INE), il partito Morena del presidente Andres Manuel Lopez Obrador avrà tra 190 e 203 dei 500 seggi, perdendo da solo la maggioranza
assoluta (metà più uno) e la maggioranza qualificata (due terzi) di cui godeva con i suoi 3 partiti alleati.

Ieri il Paese era chiamato ad assegnare 21mila cariche, tra seggi all’Assemblea federale e in trenta Congressi statali, 1.900 poltrone da sindaco e 15 governatori su 32. Sono altri, però, i numeri che tengono con il fiato sospeso l’opinione pubblica nazionale e internazionale in questa maxi-elección. Più che sui risultati, persone comuni ed esperti si interrogano se e quanto si allungherà ancora il macabro elenco dei politici assassinati. «I cittadini ormai li hanno abbandonati da anni...». La frase di Alma Rosa Barragán Santiago è rimasta sospesa. Il 25 maggio, un proiettile ha interrotto il comizio della candidata alla presidenza del municipio di Moroleón. E la sua vita. Meno di 72 ore dopo, è toccato a Cipriano Villanueva, in corsa per la guida del Comune di Acapetahua, in Chiapas. Venerdì, un commando armato ha aperto il fuoco su René Tovar, in lizza come sindaco di Cozones de Herrara, nel Veracruz. Con quest’ultimo, la lista degli aspiranti uccisi è arrivata al numero 36 da quanto, lo scorso settembre, si è messa in moto la campagna. Al precedente voto di medio termine, nel 2018, andò peggio: 48.

Alle vittime attuali, tuttavia, si sommano altri 55 omicidi di figure legate alle elezioni, anche se non in corsa, per un totale di 91. Oltre a centinaia e centinaia di aggressioni, tra sequestri, ferimenti, pestaggi, stupri. La società di consulenza Etellekt ne ha registrato 782: una della consultazione più cruenta di sempre. In oltre 40 comunità non è stato possibile nemmeno aprire i seggi per ragioni di sicurezza. Nel computo, inoltre, non rientrano quanti – e sono tantissimi – hanno rinunciato alla corsa dopo una raffica di intimidazioni. «Ho un bambino di otto anni, che altro potevo fare?», ha spiegato Alejandra Lagunas, candidata al municipio di Xochitepec, nel Morelos, nell’annunciare il proprio ritiro per le pressioni ricevute.

«La violenza elettorale rientra in una precisa strategia del crimine organizzato», sottolinea ad Avvenire Edgardo Buscaglia, docente della Columbia University, esperto di delinquenza internazionale e profondo conoscitore della realtà messicana. Un effetto collaterale del low cost, basso costo del cosiddetto «mercato della politica» nel Paese. Per i narcos – come vengono chiamate le mafie messicane, sebbene ormai il traffico di droga sia solo una delle molte attività illecite nelle loro mani –, è «fin troppo facile collocare uomini e donne “vicini” nelle liste data l’assenza di meccanismi di controllo e selezione prestabiliti. Ciò innesca, nella delinquenza organizzata, una competizione “piragnesca”. In cui “divorare” letteralmente il rivale è un metodo come un altro per far posto al proprio favorito, quando le minacce non sono sufficienti, a volte perché la persone è onesta, altre perché è a servizio della gang avversaria». I narcos non hanno più una formazione di riferimento. Fino al 2000, era il Partito rivoluzionario istituzionale (Pri) l’interlocutore unico, alla cui ombra la criminalità organizzata è cresciuta. Con la democratizzazione, i limiti imposti dal «sistema Pri» sono venuti meno. E le mafie hanno aperto trattative autonome con tutte le forze in gioco. Dato il capitale accumulato in termini di influenza, queste sono riuscite a catturare interi pezzi di istituzioni. L’offensiva esclusivamente militare dei precedenti governi, a partire dal 2006, ha prodotto il solo effetto di frammentare e moltiplicare le gang. E incrementare la violenza giunta ormai all’assurdo record di oltre 300mila morti e 87mila desaparecidos in 15 anni. Il cambiamento di strategia promesso da López Obrador è rimasto sulla carta: anche di fronte alla mattanza elettorale il presidente si è limitato a ripetere: «Il Paese è in pace».

Nel mentre le differenti formazioni illegali hanno affinato la strategia. I quattro grandi “cartelli” – Sinaloa, Jalisco nueva generación, Golfo e Norte –, multinazionali del crimine attive in oltre 80 Paesi, reclutano le centinaia di bande locali e regionali, che devono garantire il controllo del territorio. Da qui, come ha denunciato l’International crisis group, la necessità vitale di mettere le mani sulle relative amministrazioni, con la ley del plomo, la legge del piombo. In questo, il Covid è stato un potente alleato dei narcos. «La gran parte dei commerci sono informali. Per sopravvivere, sono dovuti ricorrere ai prestiti della criminalità – conclude Buscaglia –. Soprattutto Jalisco nueva generación si è specializzato nel settore. Offrendo crediti senza interessi: in cambio dell’aiuto chiede una quota dei futuri guadagni». La ley de la plata (la legge dei soldi), l’altra faccia della ley del plomo.