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Messico. Il sogno americano degli afghani finisce dopo 12 Paesi e 21mila chilometri

Lucia Capuzzi domenica 5 febbraio 2023

L’arrivo nel Sonora in Messico dei migranti afghani provenienti dal sud

Ventunomilacinquecento chilometri, dodici Paesi, un oceano, due Continenti. La geografia sconsiglierebbe agli afghani la fuga attraverso l’America Latina per raggiungere gli Stati Uniti. La politica, però, ha il potere di ridurre o dilatare le distanze. E di dirottare in parte i flussi migratori. Proprio nella politica e nelle sue contraddizioni vanno cercate le ragioni della presenza di un inedito numero di donne e uomini dell’Afghanistan lungo la frontiera tra Messico e Usa.

Nel corso del 2022, gli agenti statunitensi ne hanno fermato 2.132, quasi la metà tra novembre e dicembre. Il 30 per cento in più rispetto al 2021, l’anno della grande fuga da Kabul dopo la riconquista della nazione da parte dei taleban. Allora, oltre 123mila persone sono state evacuate insieme al ritiro delle forze della Coalizione: cittadini che avevano lavorato con i militari occidentali e il governo repubblicano sostenuto da questi ultimi. Poco più di 88mila di questi sono stati accolti negli Usa. Altre centinaia di migliaia di collaboratori e i loro familiari, però, sono rimasti indietro per la difficoltà di raggiungere l’aeroporto in quelle settimane caotiche o per ritardi burocratici nella concessione dei visti da parte delle ambasciate, prese alla sprovvista dall’avanzata fulminea degli ex studenti coranici. Un anno e mezzo dopo, l’esodo è tutt’altro che finito.

Anzi, il numero di quanti vogliono partire cresce giorno dopo giorno. La crisi causata dal taglio degli aiuti internazionali in seguito all’instaurazione dell’Emirato, la repressione messa in atto dai nuovi padroni e l’esclusione delle donne dalla società civile rendono invivibile l’esistenza di buona parte della popolazione. Lasciare l’Afghanistan, però, non è facile. Delle 51mila richieste inoltrate negli Usa in seguito a «fondate minacce» da parte dei taleban, solo 600 sono state approvate. I ventisette Stati dell’Ue hanno, in totale, 100mila istanze di asilo pendenti. Nel frattempo, la gran parte si riversa nei Paesi limitrofi dove vivono ormai sette milioni di afghani, i due terzi in modo irregolare. Di questi, 1,3 milioni è arrivato dall’agosto 2021.

E il flusso è incessante: ogni giorno, in 2mila attraversano il confine iraniano, la prima meta dell’esodo post-taleban (un milione di persone in 16 mesi) secondo le stime dell’Agenzia Onu per i rifugiati (Acnur-Unhcr). La seconda è il Pakistan con 250mila arrivi. A Teheran e Islamabad, però, spesso, tra povertà, instabilità politica e discriminazioni, i profughi si trovano di fronte drammi simili a quelli che volevano lasciarsi alle spalle. Di recente, poi, i due governi hanno inaugurato una politica di rimpatri di massa. Molti afghani, in realtà, considerano Pakistan e Iran come una tappa intermedia del viaggio. Per i più, però, le porte del resto del mondo – in primis Europa e Usa – sono ben chiuse. Unica eccezione il Brasile che – insieme a Australia e Canada, ma in questi ultimi la procedura è molto più complessa –, da settembre 2021, ha creato un sistema di permessi umanitari per chi viene dall’Afghanistan, rilasciato in circa sei mesi dalle ambasciate presenti a Teheran e Islamabad.

Finora, le due rappresentanze ne hanno emesso 6.300. Poco più della metà, però, è riuscita a trovare i 1.200 dollari necessari in media per il biglietto aereo. Un centinaio vive da mesi nel terminal 2 dell’aeroporto di San Paolo, il più gettonato per il collegamento diretto con Doha, dove ha creato un accampamento spontaneo. Gli hotel sono troppo cari e i trecento posti messi a disposizione da Acnur sono insufficienti. Chi non ha risorse proprie va avanti grazie all’assistenza di piccole associazioni e cittadini comuni. Quasi tutti, poi, puntano a Nord. La risalita dell’America Latina fino al confine Usa inizia con il tragitto in bus verso la frontiere boliviana, per poi proseguire verso il Perù, l’Ecuador e la Colombia. Nel 2022, 2.200 afghani hanno sfidato gruppi criminali e condizioni estreme per attraversare la giungla del Darién, diretti a Panama, l’anno prima erano stati 24. A quel punto, ci sono ancora da attraversare Costa Rica, Nicaragua, Honduras, Guatemala e l’intero Messico.

Quasi impossibile farlo senza un “coyote”, trafficante di esseri umani, che paghi il “pedaggio” ai gruppi criminali radicati sul territorio. I costi variano, si va da qualche migliaio a diecimila dollari. Abusi, violenze e sequestri sono all’ordine del giorno. Khalil per velocizzare ha scelto la “rotta oceanica”: dodici ore su una zattera dallo Stato messicano dell’Oaxaca fino a Tijuana. «Le correnti erano forti, non so come abbiamo fatto ad arrivare », racconta. Famida, incinta, ha raggiunto via terra il deserto del Sonora. Le manca l’ultimo tratto: tre notti di cammino a piedi per raggiungere gli Stati Uniti. «Che cos’altro posso fare? Non inseguo il sogno americano, cerco solo di uscire dall’incubo afghano».